Questo che si è appena concluso è stato il «Sinodo del già», non il «Sinodo del non-ancora», un non-ancora che nella vita dello spirito è essenziale sempre, ma soprattutto quando un mondo sta finendo e non ne vediamo ancora un altro.
di Luigino Bruni
pubblicato su Il Messaggero di Sant'Antonio il 09/11/2023
Il Sinodo in corso è una delle più belle novità del pontificato di Francesco, frutto della sua capacità di cogliere i segni dei tempi. Per come è stato preparato, e per come si sta svolgendo, è evidentemente una benedizione per la Chiesa (e non solo cattolica). C’è motivo per esultare, e da molti punti di vista. Non ultimo, per la presenza nuova di laici e di donne, che fanno di questa assemblea ecclesiale qualcosa di davvero storico. Mi permetto solo di fare due piccole note a questa bella pagina che si sta scrivendo. Riguardano la natura e le competenze dei delegati. Se infatti si scorre l’elenco dei partecipanti, insieme alla soddisfazione per la ricca composizione e la biodiversità carismatica, colpisce anche l’assenza di alcune componenti. È sempre facile il mestiere di chi guarda una realtà in cerca di che cosa manca, perché non esiste nessuna realtà umana nella quale non mancherà sempre qualcosa. Quindi questo mio esercizio va preso come tale, con tutti i suoi limiti.
La Chiesa, non solo quella cattolica, è dentro un grande processo di cambiamento, tra i più grandi e radicali della sua storia, che può essere paragonato a quello che seguì il crollo dell’Impero romano (V secolo), cioè la Chiesa dei tempi di Agostino e Benedetto, quando un mondo secolare crollava senza che ne fosse già nato un altro. Oggi un mondo – la Christianitas – sta tramontando, e un altro mondo per le chiese non si intravede. Siamo dentro un lungo sabato santo. Il Concilio Vaticano II fu un evento straordinario, ma, come diceva Dossetti, un problema di quella provvidenziale assemblea fu concepirsi ancora dentro la stagione della Christianitas, cioè di non capire collettivamente che una storia stava finendo, anche se le chiese erano ancora piene. Quelle chiese piene furono una «maledizione dell’abbondanza», perché quella ricchezza impedì ai Padri conciliari di cogliere il vuoto che covava sotto la cenere.
Con il XXI secolo non possiamo più pensare la Chiesa, la fede e la religione come la pensavamo nel XX secolo. La Chiesa, in alcuni Paesi, ha ancora una sua vitalità e le chiese non sono del tutto vuote; dobbiamo però stare molto attenti che questo «mezzo vuoto» (e non vuoto totale) non svolga la funzione che svolsero le chiese piene negli anni del Concilio. E per capire i segni dei tempi in un mondo con templi quasi svuotati non bastano teologi, vescovi, suore, sacerdoti, consacrati, che sono la maggioranza dei delegati. C’è bisogno di imprenditori, operai, insegnanti, assistenti sociali, scienziati, artisti, poeti, che sono coloro che stanno vivendo questa grande notte oscura della vita cristiana da una prospettiva «esterna» alla Chiesa istituzionale. Sono queste figure le principali sentinelle dell’aurora che potrebbe arrivare. E c’è bisogno soprattutto di giovani veri, under 30, che sono, mi pare, gli altri grandi assenti del Sinodo. Perché in ogni grande attesa c’è nascosta l’attesa di un bambino, dell’abitante del mondo che sta nascendo. I profeti biblici erano tutti giovani quando hanno iniziato la loro vocazione, da Samuele a Geremia.
Questo che si sta svolgendo è il «Sinodo del già», l’assemblea che fotografa la Chiesa oggi; non è il «Sinodo del non-ancora», un non-ancora che nella vita dello spirito è essenziale sempre, ma soprattutto quando un mondo sta finendo e non ne vediamo ancora un altro. Quando c’è bisogno degli occhi della sentinella, di chi sta sulle mura di cinta e parla di ciò che è fuori a chi è dentro, e di ciò che è dentro a chi è fuori. Donne e uomini della soglia. È sulla soglia, sui luoghi liminari, dove sta avvenendo già una risurrezione.
Credits foto: © Giuliano Dinon / Archivio MSA