Abele e l'economia circolare

Abele e l'economia circolare

Cosa manca ancora a una economia circolare perché sia anche «civile» e magari di «comunione»?

di Luigino Bruni

pubblicato su Il messaggero di Sant'Antonio il 10/05/2021

«Economia circolare» sembra la parola d’ordine della nuova economia Green e sostenibile. Non possiamo certo negare che la circolarità nell’uso delle risorse sia una importante conquista della nostra civiltà, e che la filiera interna di ogni organizzazione deve pensarsi sempre più a impatto prossimo e tendente a zero. Tutto questo è ormai così evidente che non occorre aggiungere molto altro alle tante pagine che si sono scritte, a tutti i livelli, incluso il Next Generation EU Fund, tutto costruito attorno a questa nuova filosofia economica.

Invece può essere utile riflettere su che cosa manca ancora a una economia circolare perché sia anche «civile» e magari di «comunione». Innanzitutto l’etica non è solo una questione ambientale; deve essere ambientale, ma deve essere anche altro. È stato emblematico che il governo italiano, appena varato il nuovo ministero per la Transizione energetica, abbia approvato un condono fiscale sulle cartelle esattoriali.

E sarebbe molto importante che i governi mettessero lo stesso impegno che mettono nel combattere la C02 anche per combattere la «C02 della diseguaglianza», come hanno detto i giovani della Economy of Francesco; mettessero la stessa energia per eliminare lo scandalo dei paradisi fiscali, che è la più grande evasione fiscale legale del capitalismo; e che, con la stessa forza, chiedessero a quelle imprese e banche multinazionali che hanno guadagnato, e molto, dalla pandemia di restituire parte di questi extra-profitti, magari per pagare i vaccini dei Paesi più poveri.

Inoltre, ormai da diversi anni si sta verificando una sorta di effetto crowding-out (spiazzamento) delle dimensioni green rispetto alle altre. Tutto il mondo della cooperazione internazionale con i Paesi in via di sviluppo, le cooperative sociali, le organizzazioni nate per occuparsi degli esclusi e delle varie forme di povertà, stanno conoscendo una progressiva riduzione di risorse che si stanno destinando ai programmi di sostenibilità ambientale. Come se i «poveri e basta» fossero scomparsi dalla Terra, o come se occuparsi di ambiente significasse automaticamente occuparsi di alleviamento della miseria. Uno dei grandi temi della Laudato si’ è l’unicità del grido della Terra e del grido dei poveri; ma la nuova ondata di economia circolare rischia fortemente di dimenticare questo secondo grido, assorbito dal primo.

Una economia circolare è anche civile e di comunione se mentre fa di tutto per recuperare gli scarti nelle risorse fa altrettanto, e magari di più, per recuperare anche gli «scarti umani», o per ridurre la disoccupazione. E invece sono già molte le imprese circolari che non mostrano nessun interesse né per la povertà né per l’equità salariale, e neanche per la creazione di posti di lavoro. Nei nuovi bilanci ambientali possiamo trovare contabilità meravigliose sul piano circolare che però licenziano migliaia di lavoratori per massimizzare i profitti. I profitti: nessuno parla nei manuali di economia circolare della destinazione dei profitti che nascono dal rispetto dell’ambiente.

L’ecologia integrale include anche l’uso dei profitti, le tasse pagate e non pagate, il benessere dei lavoratori e la creazione di lavoro. Una economia civile e di comunione richiede la capacità di chiamare fratello e sorella l’uomo e la donna, non solo la Terra. L’umanesimo biblico e cristiano sa che quell’uomo (Adam), nato dalla terra (adamah), è chiamato a prendersi cura (shamar) della creazione ma anche del fratello: non possiamo continuare a imitare l’Adam nella custodia della Terra e Caino nella non-custodia (shomer) di suo fratello. 

Credits Foto: © Giuliano Dinon / Archivio MSA


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