Sud, migliorare si può e si deve

Sud, migliorare si può e si deve

Un divario che sta aumentando. A commento della nuova Classifica del Benvivere realizzata da Avvenire e SEC

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenire il 26/09/2020

«Quello ch’ora dicesi Regno di Napoli abbraccia le più belle, le più amene, e le più fertili contrade della presente Italia, state già famose per le scuole del saper greco, per l’eccellenza delle leggi e de’ legislatori, per la loro forza terrestre e navale, per le guerre, per le arti, pel commercio» (p. 243). Con queste parole l’economista e filosofo napoletano Antonio Genovesi, fondatore della tradizione italiana dell’economia civile, iniziava nelle sue Lezioni di commercio il ragionamento sulle cause del declino economico e sociale in cui si trovava il suo Regno di Napoli, e quindi indicava i mezzi per risollevarlo: meno "onore privato" e più "fede pubblica", meno terre ai latifondisti e più ai piccoli proprietari, più scuole per tutti, più conoscenze tecniche nel popolo, meno privilegi feudali e più premi agli artigiani e al commercio. E poi concludeva: «non siamo ancora giunti a quella coltura degl’ingegni, alla quale noi possiam pervenire meglio che gli altri, per la vivezza della mente e della fantasia, e dove altre nazioni forse di minore ingegno sono per diligenza usata giunte; anzi, che non siamo neppure alla metà dell’opera» (p. 248). Eravamo nel 1767.

Il dato che più impressiona in questo secondo rapporto "Avvenire delle città", è l’enorme distacco tra le province del Centro-Nord e quelle del Sud, un divario già molto grande lo scorso anno e che quest’anno è ulteriormente cresciuto. Per incontrare la prima città sotto il fiume Tronto (l’antico confine del Regno), occorre scendere fino al 67° posto (Bari), mentre lo scorso anno Isernia era al 51° posto. Dal 67° all’ultimo posto (107) abbiamo soltanto città del Sud, ad eccezione di 5 province centrali. E la somma algebrica dei miglioramenti e peggioramenti nel ranking tra il 2019 e il 2020 nelle città del Sud è di meno 29.

Il "Benvivere" era parola cara alla tradizione meridiana dell’economia, a quel Ludovico Bianchini, Napoletano e erede di Genovesi, che chiamò il suo trattato di economia la Scienza del benvivere sociale. Forse perché si amano le cose che si desiderano quando avvertiamo la loro mancanza. O forse perché nelle città meridiane c’è un benvivere in parte diverso da quello del Nord, che ancora gli indicatori, neanche quelli più sofisticati del nostro report, riescono a catturare. Se un giorno fossimo capaci di creare un sistema di variabili che ci consenta di cogliere i beni relazionali, un elemento fondamentale di ogni benvivere, ma soprattutto di quello latino e meridiano, forse questa classifica così netta e polarizzata si complicherebbe, e ci accorgeremmo che in molte città del Sud e delle Isole si vive meglio di come oggi appare.

Già nel commentare i dati dello scorso anno notavamo che «abbiamo usato strumenti che poco catturano dimensioni fondamentali del benessere, come la solitudine, la compagnia degli anziani, l’invecchiare vicino ai nipoti, l’amicizia e la convivialità». Questi indicatori non esistono ancora perché la teoria economica e sociale dominante ha costruito nel tempo un’idea di benessere dove contano molto il lavoro, i servizi, le virtù civili, le imprese, la sicurezza, il capitale umano. E non potrebbe che essere così, perché queste dimensioni della vita sono veramente dimensioni del nostro benessere.

Ma tutti sappiamo, anche se lo dimentichiamo ogni giorno di già, che la consolazione degli amici, invecchiare con accanto i figli, figlie e nipoti, crescere un bambino in un borgo di campagna invece che in una grande città, mangiare il panino da soli o condividere lunghi pranzi con chi amiamo, organizzare e vivere il tempo della festa… sono dimensioni altrettanto importanti del benessere. Dimensioni presenti ovunque, ma più presenti al Sud, e quindi se non vengono rilevate tendono ad aumentare i gap tra il benvivere delle nostre città. Per il prossimo anno ci proponiamo, con tempi speriamo tutti più favorevoli, di dedicarci alla ricerca di queste nuove misure. È possibile, si può fare.

Ma non appena abbiamo ricordato queste dimensioni diverse e ancora poco esplorate del benessere, dobbiamo fare di tutto perché cittadini, intellettuali e politici conoscano e riflettano su questi dati, e quindi migliorino quelle dimensioni migliorabili. Molte cose che non ci fanno vivere bene si possono, si devono migliorare. Non ci sono zone del paese destinate a rimanere per sempre nelle loro trappole di povertà. Il mal-vivere o il ben-vivere non è un destino, è anche impegno civile, è anche progetto politico.

Antonio Genovesi lottò molto contro quel tratto del carattere nazionale che lui chiamava il nonsipuotismo, una malattia tipica del nostro Paese. Lasciamo a lui allora anche l’ultima parola: «Si può, dirà taluno? Appunto questo sospetto rovina le nazioni. La massima mia è: ogni uomo, ogni famiglia, ogni Stato può ben essere quel ch’è stato un altro uomo, un’altra famiglia, un altro Stato. È micidiale sentimento, quel "non si può"» (pp. 48-49).

Sulla Classifica del Ben-vivere vedi anche:

Cercare senso in altro modo, di Vittorio Pelligra, pubblicato su Avvenire il 26/09/2020


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