Editoriali
di Luigino Bruni
pubblicato su Avvenire del 9/02/2011
L’ Italia è stata la culla della tradizione civile. Le abbazie e i monasteri sono stati i principali luoghi nei quali si è formata la cultura dell’economia mercantile e della partecipazione, da dove sono emerse le innovazioni tecniche e contabili, e anche gli statuti delle libere città italiane.
L’età comunale, prima, l’umanesimo civile, poi, hanno dato vita alla grande stagione del civile, riprendendo e sviluppando la cultura greco romana delle virtù civili. Il Settecento è stata un’età di grande fioritura del tema del civile, della pubblica felicità e dell’economia, che hanno fatto dell’Italia una delle patrie della scienza economica moderna.
Questa tradizione è stata ben viva fino all’alba del Risorgimento, per conoscere poi un’eclisse di oltre un secolo, che, tra l’altro, coincide anche con la storia dell’Italia unitaria.
La storia italiana è una storia di un’'alba incompiuta del Rinascimento', che ha anche fatto sì che in Italia il vero protagonista del modello economico del XX secolo non sia stato il mercato ma piuttosto lo Stato, e non certamente la società civile. L’economia civile, però, non si è estinta nel Novecento, ma ha continuato a vivere come fiume carsico in economisti, imprenditori e operatori economici italiani e non solo che hanno coltivato, in vari modi, un’idea di economia intesa come incivilimento, legata alla virtù civili, alla pubblica felicità, che non dimentica il ruolo delle istituzioni. Di questo e di altro si parlerà al convegno 'Il modello economico italiano', presso l’istituto Sturzo, domani dalle 10 all’interno del progetto Genius Loci-Archivio della generatività.
Interveranno, tra gli altri, Roberto Mazzotta, Mauro Magatti, Stefano Zamagni, Andrea Riccardi e Giulio Sapelli.
Gli ultimi 150 di storia economica d’Italia sono ancora tutti da studiare e da capire. È la storia di un sentiero interrotto, a cui sono legate le grandi potenzialità e punti di eccellenza del sistema Italia, ma anche le sue ferite: la vocazione comunitaria e relazionale dell’Italia, profondamente legata alla sua matrice cattolica (e mediterranea), ha prodotto nel Novecento anche il familismo amorale e le varie forme di mafie, dove la centralità della famiglia e dei rapporti personali è spesso degenerata in lacci e lacciuoli che hanno impedito lo sviluppo. Ma nell’humus del modello italiano ci sono anche grandi risorse e potenzialità. Dalla stessa tradizione comunitaria e civile sono emersi, ad esempio, una delle realtà più positive dell’economia 'made in Italy': i cosiddetti distretti industriali. Il modello distretto nasce, infatti, da un intreccio di saperi antichi, di cultura tacita, di 'atmosfera industriale', di virtù civili e capacità cooperativa competitiva, dall’incontro tra sacro e profano, tra il mercante e il frate, tra i saperi laici e quelli dei monaci delle abbazie.
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