Commenti - Compratori di povertà e opere civili
di Luigino Bruni
pubblicato su Avvenire il 09/11/2012
L’ oro, nella storia di tutte le civiltà, è sempre stato più di un metallo. Il suo simbolismo è tra i più ricchi e profondi, e si intreccia anche con i linguaggi religiosi e con quelli di molti miti fondativi delle comunità, a partire dal matrimonio.
Per questo, vendere gli ori di famiglia è sempre un atto qualitativamente diverso dal vendere altre merci, poiché quegli ori raccontano storie familiari, eredità, e soprattutto doni. Ed è quasi sempre un atto doloroso, perché quel (poco) denaro che viene dato in contraccambio è infinitamente più povero e triste di tutta la ricchezza relazionale, e quindi simbolica, che si celava sotto quelle catenine, quei bracciali, quegli anelli.
Ecco perché se andiamo a vedere chi sono coloro che si rivolgono ai compro oro, nella quasi totalità si tratta di poveri e disperati, persone sulla cui indigenza e disperazione prosperano mercanti per profitto, quando non vere e proprie reti criminali, come è venuto alla luce col blitz di ieri della Guardia di finanza, che con oltre 250 perquisizioni in tutta Italia ha sequestrato beni per più di 160 milioni di euro. E così il più nobile e ricco dei metalli sigilla l’atto, a volte estremo, dei meno ricchi delle nostre società. Oggi, come ieri.
La vendita degli ori è atto e fatto antichissimo, come antichissima è l’esperienza antropologica del cadere in disgrazia, a volta senza colpa. Se andassimo a incontrare e a farci raccontare le storie di questi venditori di oro, troveremmo disoccupati, imprenditori indebitati per la crisi, magari pensionati e pensionate soli con un reddito troppo basso per vivere e curarsi; e chissà quanto altro ancora. Fino a pochi decenni fa, quando ancora il nostro Paese era capace di tradurre in istituzioni la sua identità cristiana e comunitaria, a raccogliere questa offerta disperata di ori erano i Monti dei Pegni, o i Monti di Pietà, istituzioni nate a partire dal secondo Quattrocento, dapprima nell’Italia centrale (i primi ad Ascoli, Spoleto, Perugia), e poi in tutta l’Italia e in altri Paesi europei. Furono inventati dai francescani, i quali, amanti veri di 'madonna povertà' e dei poveri, capirono carismaticamente che se un povero che vive una fase di grave difficoltà economica si rivolge al 'mercato for profit', finisce nella grande maggioranza dei casi per peggiorare, e di molto, la sua condizione.
Gli scambi effettuati in oggettivo stato di necessità sono immorali e sbagliati, come ci suggerisce anche una delle letture del grande racconto biblico della vendita di Esau della sua primogenitura per fame (il 'piatto di lenticchie'). Lo scopo di quegli antichi Monti era 'la cura della povertà', poiché le banche non prestavano (e continuano a non prestare) ai poveri, e questo vuoto finiva per colmarlo l’usura. La presenza dei francescani, e poi nel corso dei secoli di molti altri carismi, era essenziale: una garanzia etica ed economica che chi accoglieva quegli ori e quei pegni non avrebbe usato la sua condizione di potere e di asimmetria contro quei poveri, ma per loro e per il Bene comune.
I Monti dei Pegni si sono estinti, non solo per una normativa del credito sempre più complessa, e sempre meno capace di capire i poveri e le loro esigenze; ma anche perché sono venuti meno i carismi civili, persone e istituzioni che sentivano di investire rispondendo in modo creativo alle stesse 'domande' che avevano originato i Monti di Pietà. Oggi, anche per la crisi che stiamo vivendo e che colpisce di più i più poveri, è urgente che il civile faccia di più anche sul fronte dell’accesso al credito dei poveri. Il microcredito moderno, ripartito con Muhammad Yunus in Bangladesh, ha tentato qualcosa del genere, quando ha reso bancabili i poveri senza le classiche garanzie bancarie, grazie a vere innovazioni civili, e quindi finanziarie ed economiche.
In Italia, e in generale in Occidente, non c’è ancora una risposta economico- finanziaria adeguata alle esigenze dei veri poveri, che non può venire in questo momento dallo Stato, ma dalla gente e dalla società civile. Occorrono nuovi 'francescani', nuovi carismi civili che inventino istituzioni che, analogamente agli antichi Monti dei pegni, siano delle innovazioni economiche, non solo assistenza. I Monti di Pietà furono, soprattutto nella prima fase, innovazioni importanti per lo sviluppo economico dell’Italia moderna, perché inclusero gli esclusi.
Il mercato svolge veramente la sua funzione civile, e la sua vocazione umanizzante, quando include chi è ancora 'fuori' per un mutuo vantaggio (di chi include e di chi è incluso): la regola d’oro di ogni vera economia civile non è la filantropia unilaterale, ma la reciprocità, anche produttiva. Se non saremo capaci di dar vita, qui ed ora, a queste istituzioni di economia civile, continueremo a lasciare i poveri e i disperati nelle mani dei cercatori di ori e sempre più spesso dell’illegalità, e non saremo all’altezza dei tanti nostri concittadini che in tempi di crisi non si lamentarono, ma diedero vita ad opere veramente innovative perché inclusive, quelle che oggi mancano all’Italia.
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