Eugenio Borgna sulle tracce della gioia: è effimera, ma va custodita

Eugenio Borgna sulle tracce della gioia: è effimera, ma va custodita

 Il saggio postumo - Il grande psichiatra offre testi tratti dai classici su una realtà che, contrariamente alla felicità, il mercato non può venderci. Perché si consuma mentre la si genera

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenire il 04/09/2025

La felicità è la nuova promessa dell’economia di mercato. L’altroieri ci prometteva il pane, ieri il benessere, oggi la felicità. Ce la promette in molti modi, per ultimo con l’intelligenza artificiale, che finalmente, facendo meglio di noi tutto ciò che non ci piace e nuove cose che non facciamo ancora, ci donerà la perfetta felicità. Una felicità che ha a che fare con l’avere, con il confort, con la libertà di scelta, con la crescita, con il “di più”, e spesso confina con il divertimento e con il piacere.

Ciò che il mercato non riesce a venderci né a donarci è invece la Gioia di cui Eugenio Borgna ci parla in un bel saggio (Einaudi, pagine 144, euro 13,00). Non è un saggio accademico, somiglia ad un taccuino, a un diario di viaggio, a uno zibaldone di pensieri sparsi, accomunati dal tema della gioia. La gioia non è la felicità, perché la gioia accade nel presente, è esperienza, mentre la felicità (o l’infelicità) è una condizione più stabile. Non è neanche la letizia, anche se Borgna non ci dice perché, ma lo intuiamo pensando alla perfetta letizia di Francesco, all’etimologia della parola che rimanda a letame (“laetus”).

La Provvidenza ha messo la gioia tra le risorse essenziali per vivere. L’ha nascosta però nelle cose piccole, piccolissime, quasi invisibili se corriamo troppo. E forse per questa ragione i poveri e i puri di cuore riescono a coglierla, forse soltanto loro. È parte del paesaggio di quel Regno dei cieli dove abitano tutti i poveri e i puri di cuore, a volte senza saperlo. Qualche volta arriva dopo grandi dolori, depressioni, lutti, e il suo arrivo è la sentinella che ci annuncia l’aurora. È grazia, solo grazia, tutto dono. Possiamo comprare alcune felicità: la gioia di vivere no, è gratuità pura, ed è la più bella. Qualche altra volta arriva durante una preghiera diversa, ed è accompagnata dalle lacrime.

Diciamo subito che non è facile, neanche per un autore significativo ed eccellente come è stato Borgna (1930-2024), scrivere un libro composto prevalentemente da citazioni di molti tra più grandi poeti, scrittori e filosofi di tutti i tempi. Perché è difficile per tutti alternare propri pensieri con quelli infiniti di Rilke, di Leopardi, Nietzsche o di Simone Weil. Ma, forse, l’intenzione o l’animus di Borgna era proprio donarci al termine della sua vita (che una volta avrebbero definito lunga) le parole e i testi più belli sulla gioia che ha incontrato nell’attraversamento della sua vita e di quella di molti, soprattutto nell’esercizio del suo mestiere di psichiatra. Comunque, incastonate tra le parole dei classici, anche alcune riflessioni di Borgna sulla gioia sono importanti e belle, sfiorano la bellezza delle sue citazioni, come questa che troviamo all’inizio del saggio: « Il tempo della speranza è il futuro, come lo è quello dell’attesa; il tempo della nostalgia e della tristezza è il passato; il tempo della gioia è il presente, friabile e luminoso». La gioia accade ora, la gioia non si accumula, non siamo più capaci di gioia domani perché l’abbiamo sentita oggi o ieri; anzi a volte la lunga carestia di gioia prepara una gioia sublime e unica. La si “consuma” mentre la si genera. È effimera come una farfalla, ma in quel volo breve sprigiona tutta la sua bellezza infinita. Ancora: « Nella gioia non ci sono più le dimensioni del passato e del futuro, le preoccupazioni e timori, le nostalgie e le paure; si vive nel presente, nell’istante bruciante di un presente, che si dilata e ridona un senso alla vita».

Ma le pagine più originali e suggestive di Borgna sono quelle legate al suo lavoro, in particolare all’invito forte a custodire la fragile gioia negli altri (e in noi stessi) anche e perché è effimera e transitoria: « A ciascuno di noi è demandato il compito di rintracciare le orme della gioia nei volti, negli occhi, negli sguardi e nei sorriso di una persona che si incontri con noi, evitando di spegnerla con la nostra disattenzione, e con la nostra indifferenza. Allora quando in una paziente, in un paziente, rinasce qualche goccia, qualche scintille di gioia non si può non sentirsi chiamate e chiamati a intravedere l’alba della speranza». E questa è davvero una pagina molto bella. E aggiunge: «Sulla soglia della conclusione di questo libro non posso non dire che, quando in psichiatria, ma anche in medicina, ci si incontra con una persona, giovane o anziana, immersa nella gioia, e nella quale ci siano sintomi di malattia, dovremmo fare di tutto per non ferire la gioia come avviene attenendoci rigidamente allo slogan del dire tutta la verità, alla malata o al malato. Un bene troppo prezioso, la gioia, perché non la si tenga vicino al cuore, e non la si accolga nella sua luce interiore e nella sua leggerezza, nella sua lievità e nella sua friabilità: nel suo silenzio e nella sua grazia». Sono parole dove tutta la sua arte e saggezza professionale è fiorita in sapienza e poesia. Ogni tanto Borgna entra il dialogo con alcuni autori cristiani, da Teresa d’Avila a papa Francesco (con cui chiude il libro), quasi a farci venire la voglia di domandarci: ma quale è il timbro tipico della gioia dei cristiani? Lui non risponde, ma ci invita a cercarla e magari trovarla nella gioia dei bambini, che Gesù indica spesso nei Vangeli come del modelli della fede, e ci invita ad essere come loro per entrare nel Regno. Ci deve essere allora qualcosa di speciale nella gioia dei bambini in rapporto a quella del Vangelo. È davvero tutto e solo grazia. I bambini sperimentano la vita semplicemente vivendo, non importa che cosa facciano, gioiscono anche quando si addormentano ovunque - il sonno dei bambini è patrimonio dell’umanità. L’infanzia è l’età della gioia perfetta, perché i bambini hanno solo il presente, e nel presente la incontrano. Ecco perché il contatto con i bambini è essenziale per la gioia di tutti.

La gioia diventa più complicata da adulti e poi da vecchi, perché sentiamo la vita fuggire e per non perderla pensiamo di fermarla catturandola e divorandola - e la gioia non arriva. Divertimento, aperitivi, ristoranti, crociere, vacanze inseguite tutto l’anno. Ci mangiamo la vita, divoriamo persone e tutto ciò che incontriamo per una gioia che non arriva. Ma anche da vecchi la gioia è possibile. È però molto simile alla gioia possibile di Sisifo che, giunto in cima all’ennesima salita spingendo il suo eterno masso, nella breve pausa tra la fine dell’ascesa e l’inizio della nuova discesa, dentro quel respiro fugace può sperimentare una paradossale ma vera gioia: « Dobbiamo immaginare Sisifo felice» (A. Camus). Altre volte è il masso che genera un’altrettanto paradossale gioia, quando la vita ha tolto tutte le ragioni delle gioie e delle felicità di ieri e si va avanti solo perché la vita impone la sua disciplina intrinseca preparare la colazione, uscire per il pane, apparecchiarsi con cura la tavola anche se siamo soli e non c’è più nessun com-pagno. È il masso del vivere che ci spinge e, improvvisamente, ci può donare una delicata e vera gioia, che si intrufola tra le stoviglie e la scopa. Lascio l’ultima parola a Borgna, ringraziandolo: « Dovremmo non ferire mai la gioia di una persona che si affida alle nostre cure».

Credits foto: Foto di Arina Krasnikova su Pexels


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