Rubriche - Oltre il mercato
di Luigino Bruni
pubblicato su Città Nuova n.05/2016 di maggio 2016
Fin dalla mia prima infanzia, la primavera è anche la stagione della raccolta degli asparagi selvatici. Una piccola passione ereditata da mio padre, che mia madre esaltava con ottime frittate e gustosi risotti.
La campagna della mia residenza attuale ne dona abbondanti e saporiti, alle pendici delle rovine di Tuscolo, dove la gioia della raccolta è amplificata dal paesaggio ricco di rovine romane, teatro, tombe e i resti della villa di Cicerone. Uno dei dilemmi pratici dei raccoglitori è individuare la misura minima che deve avere l’asparago giovane per essere colto.
Non ci sono norme che lo stabiliscano, ma esiste una norma etica tacita di non cogliere gli asparagi appena spuntati dal suolo. Non esiste una quantificazione in centimetri, ma anche qui vale la regola dell’ “abbastanza”: per cogliere l’asparago cucciolo occorre che sia spuntato abbastanza dal suolo.
Quali sono le ragioni alla base di questa convenzione o norma etica, che dall’asparago possiamo estendere ai funghi, alla pesca, all’erba nei pascoli, e al consumo e uso dei beni comuni? Una prima giustificazione potrebbe trovarsi nel semplice interesse personale: se lascio crescere l’asparago, tra due giorni ripassando nello stesso luogo lo troverò cresciuto, e la mia raccolta sarà più ricca.
Ma nessuno mi può garantire che nel frattempo non passino altri (soprattutto nel Tuscolo, dove la popolazione dei raccoglitori eguaglia in numero quella degli asparagi) e si approprino di quanto io ho lasciato maturare. Quindi il solo egoismo non giustifica la non raccolta dei “boccioli”.
Per lasciare crescere i piccoli asparagi di oggi occorre introdurre qualche altra dimensione, più grande del solo interesse personale. La più naturale è la dimensione della comunità: se mi sento membro di una comunità alla quale attribuisco un valore, posso decidere di lasciar crescere i frutti perché l’altro che li raccoglierà e consumerà è qualcuno che mi interessa, perché rientra in un orizzonte di “noi” che include anche me. Se, ripassando di lì, mi accorgo che qualcun altro lo ha raccolto nel frattempo, non considero questo evento soltanto un danno o uno spreco, perché una parte del mio interesse dipende dal benessere dei membri della mia comunità.
Oggi saremo capaci di salvare il pianeta e tanti beni comuni che stiamo velocemente e decisamente deteriorando (dall’acqua potabile alla pesca degli oceani) se riscopriamo un interesse più grande di quello individuale, e ci sentiamo parte di un Bene comune più grande e concreto del solo bene privato. Proviamo poi ad allargare l’appartenenza alla comunità fino a farci rientrare ogni abitante presente e futuro del pianeta. Gli asparagi possono crescere finché restano vivi il bosco, il sottobosco, le preziose asparagine che li generano. La generatività di un bosco è una faccenda complessa e delicata, e richiede un atteggiamento custode e non predatorio da parte dell’uomo. Ci sono zone nelle quali da bambino andavo a cercare asparagi e funghi che oggi si sono inaridite a causa di incendi, avvelenamenti industriali, discariche a cielo aperto, incuria e saccheggiamenti.
Lo spuntare di un asparago è un’azione collettiva dell’intero bosco e dell’intera comunità che lo circonda, he lo cura o lo uccide. C’è bisogno di un accudimento non predatorio del bosco da parte di tutti che è la precondizione della possibilità della nascita e della raccolta individuale degli asparagi. Se non lasciamo crescere gli asparagi boccioli, un giorno non ce ne sarà più per nessuno. Il bosco non genererà più. Generare e generosità sono due parole gemelle: la vita ha bisogno di generosità, e quando il solo registro che ci muove resta quello del tornaconto personale, la generatività si spegne per carestia di generosità. Dobbiamo reimparare a lasciare crescere e maturare i boccioli, nei boschi e nelle città, educando il nostro istinto predatorio ad una logica di un interesse più alto, quello di tutti. E quando vediamo un bell’asparago maturo pronto ad essere raccolto, impariamo a vederlo come un bocciolo al quale qualcun altro ha dato la chance di poter crescere.