Capitali narrativi/10 - La sfida impedire la trasformazione dell’ideale in ideologia
di Luigino Bruni
pubblicato su Avvenire il 14/01/2018
«Immagina che [agli uomini legati dentro la caverna] capitasse naturalmente un caso come questo: che uno fosse sciolto, costretto improvvisamente ad alzarsi, a girare attorno il capo, a camminare e levare lo sguardo alla luce. … Credi che invidierebbe quelli che tra i prigionieri avessero onori e potenza? … o preferirebbe patire di tutto piuttosto che avere quelle opinioni e vivere in quel modo? Non sarebbe egli allora oggetto di riso? E chi prendesse a sciogliere e a condurre su quei prigionieri, forse che non l’ucciderebbero?»
Platone La Repubblica
È tipico del pensiero ideologico – di ogni ideologia ma soprattutto di quelle di natura religiosa – dar vita a una rappresentazione del mondo di tipo dicotomico o gnostico. Si esaltano la felicità, la bellezza, la verità, la luce speciale di chi è dentro quell’esperienza, e si svalutano le felicità e le bellezze ordinarie di quelli che sono fuori. L’amicizia, il lavoro, il gioco, l’arte, la vita di tutti non bastano più. C’è bisogno di caricare queste realtà di significati aggiuntivi straordinari e diversi. E presto si finisce per non riuscire più a gioire di rivedere un “amico e basta”, del “lavorare e basta”, di “pregare e basta”, di “dipingere e basta”. Si comincia a credere che la semplice vita non basti per vivere. E mentre ci si convince di vivere più degli altri, si rischia di smettere di vivere veramente.
Questo processo di riduzione del valore delle cose ordinarie della vita è particolarmente importante e rilevante quando si ha a che fare con persone portatrici di talenti di creatività: artisti, intellettuali, poeti, filosofi, teologi… Questi sono gli innovatori, capaci di creatività primaria e originale, che consente al carisma di restare generativo. Sono il carisma del carisma. Le comunità ideali e “carismatiche”, soprattutto nella fase fondativa, attraggono persone con talenti speciali e artistici. C’è una profonda affinità tra carismi spirituali e carismi artistici, perché entrambi sono voce che chiama, parla e guida dentro. Al tempo stesso, è altrettanto comune che dopo le stagioni della fondazione, molte delle persone con i maggiori talenti se ne vanno o si spengono – e a volte con la perdita della vocazione ideale si smarrisce o si spegne anche quella artistica, perché le due voci nel tempo erano diventate (quasi) una sola.
Questi tristi esiti dipendono profondamente dalla capacità che ha la comunità (e i suoi fondatori/responsabili) di accudire e rispettare i talenti originali della sua gente, di non immolarli sull’altare delle esigenze della crescita dell’istituzione. Dal riuscire a vincere la naturale avarizia di usare quei talenti e quelle persone affascinanti principalmente per i fini ideali della comunità. Chi ha ricevuto un dono di creatività e insieme una vocazione spirituale, nelle comunità ha il compito, preziosissimo, di impedire la trasformazione dell’ideale in ideologia. Perché il contatto primario e diretto con la vita, tipico (anche se non esclusivo) degli artisti e degli intellettuali, consente quella pluralità e quella biodiversità che è la salvezza delle comunità dalla deriva ideologica. Sono persone che riescono a dire cose diverse in modi diversi, e questa diversità originale e originaria consente agli ideali di restare genuini e vivi. La vocazione artistica, come quella spirituale-carismatica, è infatti una vocazione originaria, primitiva, non derivata. Ma non è semplice, sebbene sia decisivo, comprendere che le persone possono avere più vocazioni originarie e primarie, senza che l’una debba necessariamente morire per far vivere l’altra. L’identità cresce bene se una dimensione della vita non diventa monopolista. Ma tutto ciò è molto rischioso, e così si finisce per preferire persone “ridotte” ma certe a persone “intere” ma incerte.
Le comunità, in particolare quelle spirituali e carismatiche, di solito non vogliono “artisti e basta”, vogliono e formano artisti e intellettuali tutti spesi a servizio del messaggio. Non credono che è dall’“arte e basta” che potrà, forse, fiorire quell’arte speciale carismatica di cui sentono il bisogno. E così pensano di ottenere un’arte diversa orientando la prima vocazione naturale alla seconda ideale. Lo fanno in vari modi. A volte semplicemente impedendo loro di coltivare il violino, la letteratura, la danza, gli studi, per poter dedicare tutte le loro energie vitali e spirituali alla nuova “vocazione”. Altre volte, e sono i casi più interessanti da analizzare, chiedono loro di subordinare talenti e creatività agli scopi della comunità e al suo messaggio. Prima scolpivano fiori e bassi rilievi; ora solo crocifissi e angeli.
Li tolgono quindi dagli ambienti normali e di tutti, meticci e promiscui, dove cresce la vita vera, li mettono su un piedistallo sottovuoto per dar gloria con le opere alla comunità e al suo carisma, magari a Dio. L’arte e la cultura diventano così produzione ideologica, dove il messaggio si “mangia” l’arte e il pensiero (e Dio), per assenza di gratuità e di libertà – la storia ce ne dà abbondante evidenza. La vocazione artistico-intellettuale da primaria diventa secondaria e ancillare.
Gli artisti servono le loro comunità se riescono a restare connessi direttamente a falde della terra profonde e diverse da quelle alle quale attinge il carisma della comunità. È questo tipo diverso di acqua che arricchisce l’acqua di tutti (e la sua). Se invece un giorno la comunità decide di occludere l’accesso diretto alla vena sotterranea diversa, e con un tubo di raccordo connette l’artista all’unica sorgente di tutti, l’intero campo comune perde nutrimento e fecondità. Le vocazioni artistiche e originariamente creative sono un bene comune se riescono a portare acque diverse da quella che sgorga abbondante dalla fonte dei fondatori. E invece quando il virus ideologico prende piede tutte le fontane della comunità vengono collegate all’unico acquedotto principale.
La povertà narrativa di molte Organizzazioni a movente ideale (OMI) non dipende allora soltanto dalla scarsità di talenti narrativi – e quindi di artisti e intellettuali. Non è tanto la mancanza di talenti a bloccare lo sviluppo e l’attrattività delle comunità ideali nelle generazioni successive alla fondazione. La crisi è il frutto della carestia di vocazioni artistiche e intellettuali “intere”, libere e originarie.
In questi processi e scenari, un ruolo importante lo svolge anche la gestione e la custodia che la singola persona fa della sua vocazione artistico-intellettuale. Dopo i primi tempi (anni) felici, quando la nuova “seconda chiamata” assorbe ogni desiderio e fantasia precedenti, se la crescita è buona a un certo punto inizia il conflitto tra la voce individuale e quella della comunità (che abbiamo analizzato domenica scorsa, nell’articolo precedente). Quando (e se) arriva il giorno del “risveglio”, anche il portatore di una vocazione artistica è chiamato a scegliere, come e diversamente da tutti gli altri membri. Ma l’artista-intellettuale ha responsabilità specifiche e molto rilevanti. Se sceglie la finta autenticità, i danni che produce sono profondi e gravi. Tutte le finzioni sono dannose nella vita e in particolare nelle OMI; ma poche cose sono più dannose di artisti e intellettuali finti. Se un artista una volta liberato dalle catene ideologiche, e aver quindi visto la realtà distinguendola dalla sua ombra, torna dai suoi compagni incatenati e invece di liberarli sceglie di legarsi anche lui di nuovo e poi inizia a parlare delle ombre come se fossero la realtà, lì comincia a perdere la sua anima e compromette seriamente la buona crescita dell’anima della sua comunità. Restare nella ideologia è un male per tutti, ma è un male mortale e mortifero per chi ha avuto il dono di riconoscere l’ideologia ma ne parla come se fosse la realtà.
È questa una delle tante espressioni del fenomeno della falsa profezia, molto antico e molto serio, e per questo descritto ampiamente dai profeti biblici. La ritroviamo quando il “profeta” decide (per debolezza o per interessi) di far tacere la voce che continua ad abitarlo e inizia a dire le cose che la comunità e i capi vogliono che lui/lei dica. E diventa un falso profeta (e presto si estingue anche la voce dentro). La comunità perde qualità, biodiversità, generatività. E il suo carisma si spegne. Accanto ai falsi profeti che sanno di esserlo, ci sono poi altri che lo sono in buona fede, o perché ancora troppo “giovani” e quindi non vivono alcuna tensione nell’anima tra le due voci, o perché, sinceramente, credono di vivere la loro autenticità sacrificando volontariamente la prima vocazione alla nuova (molti di questi, in realtà, non avevano una autentica vocazione ma facevano soltanto un mestiere artistico-intellettuale).
La qualità del presente e del futuro di tali comunità dipende soprattutto dalla dinamica e dall’evoluzione delle scelte degli artisti-intellettuali che cercano di restare fedeli alle due vocazioni primarie della loro vita. Si trovano in una posizione particolarmente scomoda e dolorosa. Devono essere custodi della “seconda vocazione comunitaria” insieme alla “prima vocazione artistica” Ma la custodia della prima vocazione è impresa individuale, spesso solitaria, non ci sono strumenti comunitari che la proteggono, pochissimi accompagnatori e consiglieri che la comprendono. Col passare del tempo anche qui la tensione tra le due voci cresce, e diventa forte la tentazione di immolare la prima alla seconda vocazione, un sacrificio che molti attorno vorrebbero e saluterebbero con scroscianti applausi. C’è bisogno di una infinita mitezza perché le vocazioni plurali possano continuare a vivere e a far vivere.
L’esistenza e la resilienza di un piccolo numero di persone capaci di essere fedeli alle loro due vocazioni è essenziale per la salvezza delle comunità ideali. Perché non genera nessun buon nuovo capitale narrativo quella OMI che nel suo sviluppo consuma le persone più creative che la provvidenza le aveva mandato per scrivere le sue nuove pagine più belle. È la logica biblica del “resto” fedele, che è alla radice della salvezza delle comunità ideali nei tempi degli esili e delle distruzioni dei templi. Saranno loro a scrivere e riscrivere le prime storie dei padri, a comporre nuovi cantici e inni spirituali, a ricordare e custodire la prima alleanza e la prima promessa. A preparare l’attesa non-vana di una nuova alleanza meravigliosa.
***
Termina oggi l’immersione nei Capitali narrativi delle OMI e delle comunità. Ci sarebbero molte altre cose da dire, e forse le diremo in una prossima serie di articoli. Da domenica prossima torneremo a immergere il cuore e il pensiero nella Bibbia, con il commento dei Libri di Samuele e delle sue storie infinite. Grazie, ancora, a chi mi ha seguito in queste dieci puntate, ai molti lettori che mi hanno inviato preziosi commenti, critiche e suggerimenti, alla fiducia generosa del direttore Marco Tarquinio e di Avvenire, che mi consente di continuare la ricerca, mite e tenace, di nuove parole vive per amare il nostro tempo.
scarica l' pdf articolo in pdf (106 KB)