Un’iniziativa nata in partnership con molte realtà produttive. I corsi al via da settembre
Il manager cambia scuola
di Luigino Bruni
pubblicato su Vita di Giugno 2013
C'era bisogno in italia - dove esiste una significativa presenza di scuole dell’economia cooperativa e sociale, di centri di ricerca sul non profit e terzo settore - della Sec? Sì e no. Non è necessaria per chi ritiene che le scuole d’impresa oggi nascano per dar lavoro ai docenti, e che per le imprese rappresentino una sorta di tassa da pagare o un prezzo per ottenere un bene posizionale; o per coloro che pensano che l’Italia oggi abbia bisogno di meno chiacchiere e più innovazione imprenditoriale; e per chi pensa che non ci sia nessun elemento specifico o culturale nel modo di fare impresa in italia rispetto a quanto accade negli Usa o in Inghilterra.
Della Sec (Scuola di Economia Civile) c’è bisogno per chi pensa che la crisi del lavoro in cui siamo precipitati è anche crisi del pensiero manageriale, troppo schiacciato sul “pensiero” unico, un pensiero unico che ha invaso o sta invadendo anche il mondo dell’economia sociale e cooperativa; per chi crede che il modo di concepire il mercato e di fare cooperazione in italia e in un certo senso in europa, sia diverso da quello sviluppatosi nel mondo anglosassone; per chi crede che insegnare management e organizzazione per chi opera a Prato o in una cooperativa, sia diverso dai corsi pensati per chi opera a los angeles o a nairobi; per chi crede che l’impresa e il mercato siano pezzi di civiltà, e che per affrontarli in modo adeguato sia richiesto non solo il “know how” ma anche il “know why”.
Per questi ultimi il 19 maggio scorso è stata una buona e bella giornata, perché è stata fondata a Loppiano (Firenze), da 15 soci (tra questi Acli nazionale, Federcasse, Banca etica, la Federazione trentina della cooperazione, l’istituto Universitario sophia e il Polo Lionello Bonfanti dell’edC), la Sec srl, una scuola che vuole diventare un centro di emanazione di pensiero nuovo e di azioni diverse, per l’economia sociale ma anche per l’impresa più tradizionale (con le forme giuridiche più diverse) che concepisce la pro-
pria attività come incivilimento – è anche questa una delle differenze tra l’economia sociale, non profit, del terzo settore e l’economia civile.
L’Italia è stata una delle nazioni che nei suoi tempi migliori ha prodotto cultura e pensiero, e con questi ha invaso il mondo, facendolo, generalmente, migliore e più bello.
Da qualche decennio il nostro Paese è confinato alla periferia culturale, e quindi economica, del mondo. l’italia ritroverà un suo protagonismo economico se saprà attingere linfa vitale dalle sue antiche radici, che si chiamano umanesimo civile, coopera-
zione, comunità: in una parola, economia civile. Come nel rugby: andare indietro per andare avanti, e raggiungere la meta, oltre la crisi.