Ogni giovane è figlio di tutti, non solo dei suoi genitori. Ogni bambino che nasce è abitante della terra, e quindi è mio prossimo. Su questa legge naturale e cristiana abbiamo fondato l’Europa. Sull’esempio di Abramo e Sara.
di Luigino Bruni
pubblicato sul Messaggero di sant'Antonio il 11/07/2018
Sono stato recentemente in Spagna (Valencia) a conoscere un centro di accoglienza per immigrati (Dorothy Day), dove alcuni imprenditori dell’Economia di comunione stanno provando a creare dei lavori per giovani provenienti prevalentemente dall’Africa. Nel dialogo spontaneo che è nato, qualcuno ha chiesto a una decina di quei giovani, tutti attorno ai 20 anni: «Quali sono i tuoi sogni?». «Fare il meccanico», «l’idraulico», «la sarta»…, hanno risposto. Nell’ascoltare le loro parole, spesso mescolate con le lacrime (loro e nostre), ho capito nuovamente che ogni giovane è figlio di tutti, non solo dei suoi genitori. Ogni figlio è anche figlio mio, ogni bambino che nasce è abitante della terra, e quindi è mio prossimo. Il mio prossimo non è il mio vicino geografico, religioso o etnico: è questo uno dei grandi insegnamenti della parabola del Buon Samaritano.
Su questa legge naturale e cristiana abbiamo fondato l’Europa, abbiamo accolto soldati inglesi e tedeschi che bussavano fuggiaschi e impauriti alle porte delle case dei nostri nonni. Avevano una divisa diversa da quelle dei loro figli al fronte, ma appena li guardavano negli occhi, bagnati e impauriti, capivano che prima di essere «stranieri» erano dei ragazzi, e quindi erano figli. E aprivano le loro porte e li nascondevano, rischiando la vita, nelle cantine e nelle stalle, e condividevano con loro il poco pane. Quei ragazzi dentro casa li resero meno sicuri, ma li fecero più umani.
Questa è l’Europa cristiana, queste sono le radici, ricoperte di lacrime e di agape, del nostro grande continente. Siamo stati capaci di guerre fratricide, degli orrori infiniti dei lager, ma siamo stati anche capaci di riconoscere un ragazzo e un figlio sotto una divisa di colore diverso. Le benedizioni civili ed economiche dell’Europa del dopoguerra sono state anche il frutto di questa grande capacità di accogliere, che ci ha consentito di pensare alla Comunità Europea, quando sulle montagne si stavano ancora combattendo le guerre. Le prime lettere della Costituzione repubblicana e poi dei trattati economici europei sono state scritte dalle donne e dagli uomini che hanno saputo aprire una porta e condividere il pane, diventando compagni (cum-panis) di forestieri. Molti di loro erano analfabeti, ma seppero scrivere queste meravigliose parole con la loro carne, attingendo all’umanità più profonda.
Oggi stiamo conoscendo altre guerre. Non si combattono sulle nostre montagne, ma nelle montagne oltre il mare. I giovani continuano ad arrivare, impauriti e fuggiaschi, a bussare alle nostre porte. Ma la distanza dal dolore e dalla pietas cristiana dei nostri nonni e genitori ci rende molto più difficile aprire le nostre porte, che troppo spesso rimangono chiuse, e giustifichiamo queste chiusure con nuove-antiche ideologie.
Eppure, anche oggi, il confine tra civiltà e barbarie si colloca proprio sulle nostre risposte concrete ai sogni di questi giovani. Possiamo comportarci come i Ciclopi che divoravano i loro ospiti, come gli abitanti di Sodoma che li violentarono. Oppure possiamo scegliere di imitare gli accoglienti Feaci, o i vecchi Abramo e Sara che ospitarono i tre uomini alle querce di Mamre sentendosi poi annunciare da loro la nascita del figlio della promessa. Tre forestieri accolti che portarono vita e un figlio: nella terra promessa non ci sono porte chiuse.
Nel Dna del nostro umanesimo ci sono sia i Ciclopi che i Feaci, ci sono gli abitanti di Sodoma ma anche Abramo. Ogni generazione deve fare la sua scelta, deve dire da quale parte vuole stare, se vuole guardare il colore della divisa o i giovani-figli che la indossano. Una cosa comunque è certa: la vita, i bambini, il futuro stanno solo dalla parte dei Feaci e di Sara e Abramo. «Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, hanno accolto degli angeli senza saperlo» (Eb 13,2).