Commenti - Quello che serve all’Europa
di Luigino Bruni
pubblicato su Avvenire il 04/11/2011
Nel marzo 1933, in un momento per l’Europa e per il mondo molto simile a quello attuale (eravamo a poco più di tre anni dalla grande crisi del 1929), il grande economista inglese John M. Keynes, forse il più grande del Novecento, così scriveva sul Times a proposito dalla crisi: «Siamo in una situazione simile a quella di due camionisti che si incrociano nel mezzo della strada stretta, e sono bloccati l’uno di fronte all’altro perché nessuno conosce in quel caso le regole della precedenza. I loro muscoli non servono; un ingegnere non potrebbe aiutarli; ipotizzare una strada più larga non servirebbe a nulla per uscire da quella empasse.
Servirebbe soltanto una piccola, piccolissima, chiarezza nel pensare. Allo stesso modo, oggi il nostro problema non è un problema di muscoli e di forza. Non è neanche un problema di ingegneria. Non possiamo neanche parlare di un problema di business e di imprese. Non è neanche un problema di banche. Al contrario, il nostro è stricto sensu un problema economico, o, per dirlo meglio, un problema di Economia Politica».
Parole attualissime, perché grandi, sebbene oggi i camion bloccati siano molti più di due, e ci troviamo nel ben mezzo di un ingorgo che dura da parecchie ore, dove tutti gridano, qualcuno ha anche ostruito la corsia di emergenza provocando l’ira di tanti, e qualcuno inizia a sentirsi male per mancanza di cibo e acqua. Ma, anche ora, occorre pensare meglio e di più, e magari insieme: anche in questo caso, «il mondo soffre per mancanza di pensiero» (Paolo VI).
Che cosa dovrebbe dire, allora, oggi una scienza economica che sia Economia Politica, come diceva appunto Keynes, una economia quindi fedele alla sua vocazione originaria, quando si chiamava, in Italia, "Scienza della pubblica felicità" o "scienza del ben vivere sociale"? Innanzitutto, dovrebbe indicare ai politici che esiste un problema specifico nell’aver pensato e creato una banca centrale europea (Bce) inadeguata e insufficiente per gestire una crisi seria, strutturale e lunga.
Le Banche Centrali hanno svolto e svolgono anche e soprattutto la funzione di "prestatori di ultima istanza", cioè intervengono nei momenti di crisi velocemente e efficacemente. La Bce non è stata creata per svolgere questa funzione, e ciò dipende soprattutto dalla mancanza di fiducia tra gli Stati membri della zona euro, in particolare dei più forti nei confronti dei più deboli.
Una comunità, anche quella europea, per durare ha bisogno di patti o alleanze, non bastano i contratti. Quando l’Europa è nata voleva essere fondata su un patto: l’Europa dell’euro invece è stata il frutto di un contratto-senza-patto, che ha retto fino alla prima grande crisi. Senza una riforma della Bce, che richiede però una rifondazione dell’Europa su basi pattizie più solide di quelle offerte dal tenue cash-nexus dell’euro, le soluzione offerte resteranno sempre parziali e inefficaci.
Il "pensiero chiaro" di Keynes portò alla nascita delle nuove istituzioni della finanza nate a Bretton Woods nel 1946, ma che oggi richiedono un urgente aggiustamento a causa dei grandi cambiamenti operati dalla globalizzazione dei mercati. Ma tutto ciò richiede una fiducia vera tra gli Stati, in particolare in Europa, che ancora non si intravvede.
Una buona Economia Politica oggi direbbe poi che in questa crisi esiste anche un problema Italia, del suo governo che, nonostante gli sforzi, non ha le risorse per gestire efficacemente questa crisi. Non c’è la forza politica, né della teoria economica, per fare subito quelle poche riforme che il "chiaro pensiero" da tempo propone, e da più parti. Infine, un "chiaro pensiero" direbbe che la finanza speculativa va ridimensionata e rallentata. Non possono essere i finanzieri e le agenzie di rating a dettare le regole del gioco democratico, a far cadere i governi (e a scommettere sulla loro caduta), a decidere se fare o non fare i referundum.
La politica deve mostrarsi oggi più forte dei mercati finanziari, e far passare certi provvedimenti urgenti anche quando i mercati non li vogliono, come la Tobin Tax o qualcosa di simile. Quando si annuncia l’introduzione di queste nuove regole le borse vanno giù, ma in questi casi i mercati sono come Pinocchio, che ha bisogno della medicina ma non vuole berla.
Se dal G20 uscirà, come è fortemente auspicabile, una proposta seria di regolazione dei mercati finanziari e di riforma della BCE, i mercati non saranno felici, ma la politica potrà reggere l’urto e governare i mercati solo se avrà dietro un vero progetto politico, su cui fondare nuove regole e nuovi mercati. Anche Keynes scriveva quell’articolo alla vigilia di una World Conference sulla crisi, e così lo concludeva: «Questa conferenza può arrivare al momento giusto, nonostante il suo ritardo. Il mondo è sempre meno disposto ad attendere un miracolo, a credere che le cose andranno bene da sole senza fare la nostra parte».
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