Oltre la lingua delle merci

Oltre la lingua delle merci

Commenti - Un bene scarso e prezioso: la stima

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenire il 14/07/2013

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La stima è un bene sempre più scarso nelle nostre società, e quindi sempre più prezioso. La ‘domanda’ di stima cresce, ma non c’è sufficiente ‘offerta’, poiché siamo tutti intenti a cercarla e non abbiamo tempo e risorse per offrirla agli altri che, come noi, la cercano, la desiderano, la agognano. Avremmo bisogno di molta più stima di quella che riusciamo ad offrire, come ci ricordano nel libro L’economia della stima l’economista Geoffrey Brennan e il filosofo Philip Pettit. La carestia di stima è una espressione di un tipico fallimento della nostra società di mercato, dove cresce lo spazio dei mercati e, come conseguenza, diventano drammaticamente scarsi i beni che non si possono comprare, beni che sono spesso quelli davvero essenziali per una buona vita individuale e sociale. Siamo così caduti in una carestia generalizzata di beni liberi non di mercato, e tra questi la stima.

La stima vera non è una merce. Ma il mercato capitalistico conosce la fame di stima non soddisfatta che c’è nel mondo, e cerca di offrire merci sostitute della stima. Queste merci sono soprattutto i ‘beni posizionali’, quelle merci che acquistiamo anche per soddisfare il nostro bisogno di attenzione, riconoscimento, di distinzione e persino stima da parte degli altri.

La ricerca dei beni posizionali è esistita in tutte le società, ma oggi questi beni stanno invadendo le nostre società individualiste e solitarie, dove mancando linguaggi più ricchi per dire chi siamo agli altri, la principale lingua che ci resta è quella del consumo vistoso. Il grande fascino che esercitano su di noi le merci dipende anche dal fatto che noi ‘parliamo’ con le cose che possediamo (e che non possediamo), una lingua che usiamo tanto più quanto più ci sentiamo analfabeti di altri linguaggi, salvo poi scoprire – quando lo scopriamo – che le cose che riusciamo a raccontarci con questa lingua sono troppo poche e povere, e mai quelle decisive per la nostra felicità. La lingua delle merci rischia di diventare il nuovo esperanto di persone sole in cerca di stima e di felicità nei modi e nei luoghi sbagliati.

La stima non è facile da individuare perché si trova spesso mescolata con altri sentimenti umani, tra i quali il riconoscimento, il fascino, il rispetto, l’attrazione, e soprattutto l’ammirazione. La stima ha però i suoi tratti distintivi e peculiari.

Innanzitutto la stima è faccenda di gratuità, non solo perché non può essere comprata né venduta, ma perché può solo essere donata liberamente e sinceramente. La sincerità, infatti, è essenziale: se colui al quale esprimo la mia stima percepisce o pensa che gli sto dicendo la mia stima solo per farlo felice o, magari, per pietà, la gioia della stima vera si tramuta nel suo opposto. L’esigenza di verità prevale sul bisogno di stima. Un meccanismo relazionale di cui sono consapevoli educatori e insegnanti. Se, infatti, uno studente legge un apprezzamento di un docente come non sincero, quella “stima” produce l’effetto di scoraggiamento e di riduzione di auto-stima. La stima finta si chiama anche adulazione (di cui sono inondati i potenti, che sono grandi indigenti di stima), ma può essere anche il risultato di scorciatoie prese per non aver voluto investire il tempo necessario per scoprire le ragioni della vera stima.

La stima ha poi bisogno della parola, meglio se orale e senza mediazioni. La stima va detta, va pronunciata. Non è un “I like”. Anche per questo la stima, a differenza dell’ammirazione, nasce solo tra persone legate da un rapporto personale. Posso ammirare un grande atleta o uno scrittore, ma perché si passi dall’ammirazione alla stima occorre che inizi un rapporto personale tra noi, è necessario che parliamo.

La stima, diversamente dal fascino o dall’attrazione che possono nascere anche da aspetti estetici o particolari doni (bellezza fisica, intelligenza …), sorge solo per ragioni morali. Non si stima l’altro per i suoi occhi verdi, ma per la sua virtù. Si può essere attratti o affascinati da un aspetto specifico di una persona (es. un talento), ma la stima è sempre un giudizio globale e sintetico sulla persona intera (e per questo la desideriamo tanto). E per questa sua natura globale, la stima è un processo, un cammino accidentato e fragile. La stima si origina sempre da un primo incontro, quando siamo colpiti da un aspetto dell’altro (onestà, bontà, rettitudine …). Ma la conoscenza e la frequentazione della persona che stimo può rivelarmi altre dimensioni del suo carattere che non meritano la mia stima, fino ad arrivare nel tempo alla triste e comune frase “non lo stimo più”, una frase tristissima e spesso fatale quando viene pronunciata nei confronti del proprio coniuge, dopo anni di matrimonio, di stima, di esercizio di “amarsi e onorarsi”. È a questo punto che inizia, se lo vogliamo e ne abbiamo le risorse morali e spirituali, l’ascetica della stima, quel processo doloroso, luogo ma anche sublime di ritrovare nuove ragioni per tornare a stimare una persona che non si stima più, e dal quale magari non si sente più stimata – essendo un bene relazionale, la stima è profondamente intrecciata con la reciprocità (“gareggiate nello stimarvi a vicenda”), che complica e arricchisce tutto il processo – la stima di chi non si stima, ad esempio, non genera alcuna gioia. Anche per questa ragione la stima vera è sempre dono, e per-dono.

Infine, la poca stima che esiste nel mondo dipende anche, e forse soprattutto, dalla scarsità di persone capaci di trovare ragioni di stimabilità negli altri. Molte persone che ci appaiono non meritevoli di stima in realtà se fossero viste con gli occhi giusti rivelerebbero almeno un aspetto di verità, bontà e bellezza, che potrebbe diventare una via di accesso alla stima. Ma questi “occhi”, questi sguardi profondi nell’anima degli altri, sono troppo rari nella nostra società. Noi sappiamo, o quantomeno intuiamo, di avere in noi qualcosa di stimabile, e ci sentiamo vittima di una vera e propria ingiustizia quando gli altri non si accorgono del bello che abbiamo e che siamo. La sensazione di non essere stimati abbastanza, perché non conosciuti e riconosciuti veramente, è tra quelle più profonde, dolorose e durature dell’esistenza. Ho avuto il dono di avere per amici alcune persone che hanno stimato delle cose belle in me ancor prima che io stesso mi accorgessi della loro presenza: la loro stima le hanno fatte fiorire e maturare. Questa stima profonda ha la capacità di trasformare i ‘non ancora’ in ‘già’. Una delle funzioni preziose che hanno i carismi nella storia è generare persone portatrici di questi sguardi capaci di far affiorare la stimabilità in tante persone che non si stimano, e quindi non stimano gli altri e la vita. Nelle persone ci sono troppe dimensioni di bellezza, verità e bontà che appassiscono e muoiono perché non trovano occhi capaci di vederle, amarle, e farle risorgere.

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