Doping evasione

Doping evasione

Commenti -  Processo perverso da spezzare

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenire il  26/08/2012

logo_avvenire In economia si usano spesso metafore sportive, e normalmente portano fuori strada perché il mercato non è una gara sportiva. Il caso del doping, invece, è una eccezione, perché l’analogia doping/evasione fiscale se ben usata può essere efficace

Sono ovviamente molte le ragioni che portano atleti al doping. Due sembrano essere quelle più comuni e generali. La prima tipologia di doping, quella più presente nei media, è quella dell’atleta che usa sostanze proibite per vincere, per avvantaggiarsi scorrettamente sulla concorrenza. Ma c’è anche una seconda ragione che porta al doping, quella dell’atleta che si convince che i suoi concorrenti più forti sono tali perché usano doping, e che quindi, se anche lui/lei non fa altrettanto sarà sempre un perdente.

In questo secondo caso ci si dopa non tanto per vincere, ma per non perdere. Scatta, cioè, nella mente dell’atleta una sorta di equazione micidiale: «in un sistema in cui va forte solo chi si dopa, se non mi dopo anche io non andrò mai forte». Drogarsi diventa così una sorta di male necessario o di costo morale per poter svolgere quel mestiere che si ama ma che si considera ormai corrotto. Ma c’è di più: in seguito a questa logica "di tipo 2" ci si potrebbe ritrovare con atleti tutti dopati anche se la maggioranza di essi, presi uno a uno, ha iniziato il doping come scelta difensiva, pensando che tutti gli altri si dopassero. Si finisce così in una situazione nella quale ciascuno individualmente se potesse scegliere tra le due alternative: "nessuno di noi si dopa" e "tutti ci dopiamo" sceglierebbe la prima, ma collettivamente finiscono tutti nella seconda, con gravi danni individuali e collettivi: i record vengono falsati, i giovani migliori si allontano da quelle pratiche sportive, si spende sempre di più per controlli sempre più severi e sempre più elusi, ecc. Ci si ritrova in trappole di povertà nelle quali nessuno individualmente voleva cadere, e dalle quali – questo è un problema cruciale – è complicatissimo liberarsi una volta catturati. Lasciando il doping ai sociologi dello sport (che ci direbbero che non ci sono solo le ragioni di tipo 1 e 2, ma anche altre), pensiamo all’evasione fiscale in Italia.

L’imprenditore che evade le tasse arriva a questa scelta sulla base di ragionamenti molto simili alla logica del doping del tipo 1 e quella del tipo 2; ma, a differenza dello sport professionistico dove prevale la prima logica di doping (ci si dopa per vincere), nell’evasione fiscale è la seconda forma di "doping" che prevale (si evade per non perdere e fallire). Raramente un imprenditore - che non sia un faccendiere o semplicemente un delinquente - inizia ad evadere all’inizio della sua attività. Ogni vero imprenditore sa che se riesce a stare in regola con il fisco, la sua azienda e la sua vita funzionano molto meglio, e da ogni punto di vista (basti pensare, ad esempio, al fatto che i soldi che entrano in nero non possono essere usati produttivamente e per l’investimento nell’impresa, che si avvia così a diventare un bonsai). Alcuni imprenditori – come gli atleti dopati "di tipo 1" – evadono perché disonesti e vogliono vincere a tutti i costi. Ma per molti altri l’evasione inizia quando prendono piede ragionamenti simili a quelli descritti per il doping di tipo 2. In questi casi, il primo tarlo si insinua quando l’imprenditore inizia a pensare che i concorrenti di successo evadono e sono, a qualche livello, scorretti. Normalmente questa ipotesi non è suffragata da dati oggettivi, ma si alimenta di voci, dicerie, singoli episodi, che nella mente dell’imprenditore e della sua cerchia più intima diventano presto certezze.

Ci sono dati seri che dicono che la percezione soggettiva della disonestà degli altri è molto maggiore di quella reale. Se poi questo ragionamento è rafforzato dall’ipotesi ulteriore che i giudici sono corrotti, che i controlli non ci sono o sono iniqui, che l’introito fiscale alimenta sprechi e privilegi della classe dominante, l’ipotesi diventa teoria e prassi certissime. Si può ragionevolmente sostenere che dietro il boom di evasione fiscale degli ultimi anni non ci sia solo il deterioramento delle nostre virtù civili o di quelle della classe imprenditoriale, né tanto meno una diminuzione dei controlli.

L'evasione fiscale è aumentata anche per fenomeni di "doping di tipo 2"; ma – e questo è il problema principale che abbiamo di fronte – ora ci troviamo effettivamente bloccati in una situazione di alta evasione fiscale, uno stato dal quale non riusciamo a muoverci, in cui le previsioni e le congetture di evasione si sono auto-realizzate: il sistema ormai è dopato, e oggi in Italia l’imprenditore leale e corretto verso il fisco, rischia troppe volte di fare la fine dell’atleta onesto in una gara di atleti dopati. Occorre allora invertire la rotta, spezzare questo processo perverso. Ma come? Agendo a più livelli, ricordandoci però che oggi qualsiasi messaggio proveniente dalle istituzioni che alimenta l’idea popolare che "siamo (quasi) tutti corrotti ed evasori" non fa altro rafforzare lo status quo, e così mostrare l’opzione evasione come l’unica scelta per non finire tra i vinti, per non fallire. Dobbiamo subito invertire la rotta comunicativa, parlando meno di evasione genericamente e in generale, aumentando le notizie che parlano di successi alla lotta all’evasione, e soprattutto mostrando casi di buone pratiche, di imprenditori e cittadini che le tasse le pagano e che "vincono", e magari – insistiamo – introdurre forme premiali per questi. Certo, l’evasione fiscale non è tutta qua: ma è anche qua. Sono parole delicate e difficili da dire di questi tempi, ma occorre avere coraggio, perché, come ricordava tra gli altri il grande cooperatore Luigi Luzzati: «Chi non ha il coraggio di dire ciò che pensa, finisce col non pensare se non quello che avrà il coraggio di dire».

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