Commenti - Il «contrasto di interessi» fiscale
di Luigino Bruni
pubblicato su Avvenire il 25/11/2012
Finalmente, anche in Italia, il sistema fiscale ha accolto il principio del cosiddetto 'contrasto di interessi'. Si arriverà così a dedurre stabilmente dalle imposte alcune spese che i cittadini sostengono per l’acquisto di beni e servizi. Chiedere la fattura o la ricevuta a meccanici ed elettricisti non dovrà più essere un atto quasi eroico del cittadino onesto.
Introdurre la deduzione, con modalità adeguate, di queste fatture e ricevute è importante anche per i tanti rapporti ordinari e abituali con meccanici, idraulici, altri artigiani e professionisti delle nostre città. Quando l’elettricista o la parrucchiera non sono sconosciuti ma amici – cosa molto comune nelle piccole città e paesi italiani – il richiedere ricevute e scontrini non è sempre facile, perché, a causa di una cultura radicata nel nostro Paese e in molti altri Paesi latini (sulle cui ragioni ci sarebbe molto da dire), viene non raramente percepito come un’inutile vessazione nei confronti di un amico.
Sono queste le tante 'trappole di povertà' sociale, di cui è piena l’Italia, e che una buona legge può contribuire a spezzare. Se, infatti, il mio elettrauto sa che io posso scaricare (e con un’aliquota adeguata) quella ricevuta, se non è un vero disonesto (continuo ostinatamente a pensare che siano pochi i disonesti veri), sarà per me più semplice chiederla, e per lui emetterla. Ci sono, allora, molte ragioni per gioire di questa proposta che dovrebbe anche aumentare il gettito fiscale. In questa fase iniziale, però, possono essere utili 'avvertimenti per l’uso', perché le ricevute non sono tutte uguali.
Il centro di questo discorso è, e deve poter essere con chiarezza, la famiglia, in particolare le famiglie giovani con figli a carico. Dobbiamo entrare nell’ordine di idee che la famiglia – in termini esclusivamente economici – non è soltanto un’agenzia di consumo e di redistribuzione del reddito, non è mai stato solo questo: la famiglia è sempre stata, e resta, anche una fondamentale istituzione di produzione di beni e servizi. Il problema campale è che la nostra cultura economica e sociale non vede, per la mancanza di occhiali giusti, l’enorme produzione di beni e servizi che accade dentro le mura domestiche. Le ragioni sono molte, non ultima l’associare la sfera domestica alla donna e al 'dono', e la sfera pubblica all’uomo e al 'mercato'. Il Pil, ad esempio, non vede e quindi non riporta la produzione di beni e servizi domestici (dal cibo alla educazione alla cura), e questo è ormai ben noto; ma non vede e non riporta neanche il valore economico della trasformazione di beni e servizi che avviene dentro casa.
Far sì che una scatola di pelati, un pacco di pasta, cipolla, spezie e carne macinata diventino un pasto servito in tavola e, magari, consumato assieme, è un processo di creazione di alto valore aggiunto economico – basta andare ogni tanto a ristorante per averne una prima stima. Ma questo valore, e questi valori, non entrano nell’economia che conta; e così non contano per le scelte pubbliche, perché associati alla famiglia, a sua volta considerata come faccenda privata, quindi di solo consumo e al massimo di risparmio. Ma c’è di più. La famiglia produce anche capitali sempre più importanti e essenziali per l’economia. Non mi riferisco al solo capitale 'umano' (i lavoratori), che senza la manutenzione delle emozioni e delle relazioni famigliari sarebbero, e spesso sono, lavoratori di bassa qualità (sono curioso di vedere tra qualche anno quali lavoratori usciranno dalle nostre famiglie infragilite...). Ci sono anche i capitali relazionali e sociali, prodotti in gran parte dalle famiglie, e che gli studi mostrano come fattori essenziali di sviluppo economico e sociale.
Quindi, molte delle spese che una famiglia sostiene non sono troppo diverse da quelle di altre 'imprese civili'; certo lo scopo della famiglia non è il profitto né la sua natura è commerciale, ma in questo sono in compagnia di molte altre istituzioni di rilevanza economica (da tante scuole alle Ong). Due ultime note a piè di pagina. Non dovremmo chiamare questa buona legge 'contrasto' o 'conflitto' di interesse, di contrasti e conflitti veri ne abbiamo già troppi in Italia e nel mondo. Quando un cittadino chiede una ricevuta e quando un professionista la emette, non c’è alcun vero contrasto e nessun conflitto di interessi, ma mutua convenienza e interesse ( inter-esse, cioè stare- tra). Perché se un’impresa paga tasse eque e possibili, cresce meglio e in modo sostenibile (il 'nero' condanna a restare bonsai, a meno che non si tratti dei 'grandi neri' della criminalità). Infine, mentre facciamo emergere il 'nero' – che so? – di meccanici e idraulici non dimentichiamoci che – al di là degli scontrini, delle ricevute e delle fatture – la stragrande maggioranza della ricchezza, e delle non-tasse, transitano nei mercati finanziari. In quei paradisi fiscali di pochi che rendono la vita di molti troppo simile a purgatori fiscali, se non a veri e propri inferni; compresa la vita dei tanti meccanici, artigiani e professionisti onesti.
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