Commenti - La malattia del business e dell'azzardo
di Luigino Bruni
pubblicato su Avvenire il 30/05/2012
L’ennesimo, e ogni volta più esteso e grave, scandalo del calcio scommesse è sintomo di una malattia molto seria del calcio e di gran parte dello sport professionistico. Una malattia che è così pervasiva e ormai così avanzata da non essere forse più curabile, a meno di un "miracolo". Gli arresti, le perquisizioni e gli avvisi di garanzia sono, infatti, la punta d’iceberg di una cultura calcistica totalmente in mano al business, e alla sua parte più speculativa. I principali segni della malattia sono due: la pay-tv che ha ormai occupato tutti i campionati professionistici, e le società di scommesse che sono diventate grandi sponsor delle squadre di vertice.
Quando le televisioni for-profit prendono in mano il calcio, i guadagni per i diritti televisivi diventano i veri dittatori di società e della stessa Lega calcio: determinano calendari e ritmi e orari delle partite, che fuoriuscite dalla domenica pomeriggio non sono state spostate al sabato come si auspicava un tempo, ma stanno occupando tutti i giorni della settimana, scompaginando i palinsesti televisivi e gli stili di vita delle famiglie. In troppe case si pranza la domenica in compagnia della partita di mezzogiorno, e si cena assieme a quella serale: addio festa della relazioni! Ottima immagine del mercato capitalistico, a sua volta fuoriuscito dal proprio ambito occupando la vita dei popoli.
Ancor più grave, sebbene collegato a questa prima anomalia, è l’abbraccio mortale tra mondo delle scommesse e calcio professionistico. Un intreccio grave per molte ragioni. Innanzitutto, alimenta la cultura della scommessa, che sta prendendo piede in modo esponenziale soprattutto tra i soggetti più fragili, producendo tragedie di cui troppe famiglie sono testimoni e vittime, anche perché le stesse società sponsor delle squadre di calcio sono anche proprietarie delle concessioni di slot machine, del pocker online, e di molta altra roba. Questi circenses rubano il panem dei poveri, con la grave connivenza della politica e delle istituzioni, e di noi cittadini silenti e inermi. Inoltre, per questa via si rafforza l’illusione che ci siano scommesse buone (quelle legali delle grandi società) e scommesse cattive, dimenticando quanto ci dicono i dati, e cioè che si passa molto rapidamente dalle scommesse lecite a quelle illecite, e che il mercato delle scommesse "buone" e quello delle scommesse "cattive" hanno ampie aree di sovrapposizione. Per questo è ridicolo, se non fosse eticamente molto grave, ascoltare le patetiche raccomandazioni sul non giocare troppo a conclusione delle omnipresenti pubblicità di scommesse: viene da chiedersi se tra poco non leggeremo anche nei pacchetti di sigarette "fuma senza esagerare" o "fuma il giusto". Nelle scommesse ci sono gli stessi fenomeni di dipendenza e assuefazione presenti nel fumo e nelle droghe, lo andiamo ripetendo su queste colonne, flatus vocis, da troppo tempo, e continueremo a farlo.
È questa stessa cultura che porta i dirigenti delle società di calcio e delle istituzioni calcistiche a stracciarsi ogni volta le vesti di fronte allo scandalo di turno. Ma tutti restano sempre al loro posto. Nessuno si dimette e nessuno ha la forza e, forse, la voglia, di cambiare un sistema calcistico dove non si cerca più lo sponsor per giocare, ma si gioca per far guadagnare gli sponsor e far andare a mille il business che ruota attorno.
Il mercato for-profit non deve entrare in tutti i luoghi dell’umano. Ci sono ambiti che sono eminentemente civili, dove cioè l’aspetto economico è funzionale all’attività non economica che si svolge – istruzione, arte, cultura, sanità, sport – e non viceversa; perché quando l’ordine mezzo-fine si inverte, si finisce per riempire questi mondi non con persone appassionate e con un po’ di vocazione, ma con cercatori di profitti che trattano le squadre di calcio e lo sport con la stessa logica con la quale trattano i fondi speculativi e le slot machine. Quel qualcosa di civile, e di innocuo, che ci può anche essere nelle scommesse (che hanno sempre accompagnato lo sport), quando viene catturato da agenti speculativi senza scrupoli produce soltanto cattivi frutti, individuali e sociali.
La storia ci racconta che il movimento del mercato non è unidirezionale: non ha solo e sempre occupato nuovi territori, ne ha anche abbandonato alcuni, retrocedendo. Tra medioevo e modernità due tra i principali mercati erano quello delle reliquie dei santi e quello degli schiavi. Oggi i popoli e i Paesi democratici hanno allontanato i mercanti da quei "luoghi" (sebbene sia necessario vigilare perché non ci tornino, sotto altre spoglie). E questo significa che cambiare si può. Se oggi vogliamo salvare il calcio dalla sua terribile malattia, dobbiamo far retrocedere il business speculativo, di cui le scommesse sono un’espressione. Ma occorre un autentico "miracolo", che si chiama volontà e forza della politica, delle istituzioni sportive e, non per ultimi, di noi cittadini, che possiamo e dobbiamo fare di più per pretendere uno sport vero e pulito.
Tutti i commenti di Luigino Bruni su Avvenire sono disponibili nel menù Editoriali Avvenire