Verso le elezioni
di Luigino Bruni
pubblicato su Città Nuova n. 22/2012 del 25/11/2012
Il rapporto tra economia e politica è una delle direttrici su cui su sta snodando la campagna elettorale per le prossime elezioni. E non potrebbe essere diversamente, dato il peso che sta prendendo la vita economica, incluso il lavoro, nel benessere e malessere delle nostre famiglie, soprattutto di quelle giovani con bambini.
Ma, e qui sta il punto, l’economia negli ultimi decenni si è tremendamente complicata, per un cambiamento radicale della natura dei rapporti economici e sociali (la globalizzazione), e la formazione economica dei leader dei partiti politici è spesso obsoleta per capire finanza e mercati contemporanei.
Questa difficoltà di comprensione di che cosa sta accadendo nell’economia e nella finanza, sta avendo due conseguenze, entrambi cruciali per la nostra democrazia. Il grande economista inglese J.M. Keynes diceva quasi un secolo fa che normalmente i policy makers sono spesso “schiavi” ideologici di "scribacchini". Questi scribacchini una volta erano gli economisti teorici; oggi sono brillanti giornalisti che si stanno trasformando in teorici economici senza teoria, che dalle loro cattedre impartiscono quotidianamente lezioni e ricette. Nel Novecento alcuni grandi economisti furono anche ottimi giornalisti e politici (pensiamo allo stesso Keynes, e in Italia a Luigi Einaudi).
Oggi assistiamo al processo inverso, anche a causa della assenza di bravi economisti che vogliano e sappiano parlare alla gente. E molti pensano di risolvere la complessità della economia attuale rimuovendola, offrendo slogan e battute mediatiche che hanno solo il neo di essere quasi sempre sbagliate. Oppure, seconda conseguenza non meno grave, di fronte alla complessità della sfera economica, e alla sua grande rilevanza in tempi di crisi, i politici rinunciano alla loro vocazione di sintesi, e si affidano interamente agli economisti, perché capaci di decifrare la complessa trama dei mercati, dimenticando così che l’economia è sempre un particolare, non è mai sintesi.
C’è bisogno di un forte investimento in cultura economica, a partire dalle scuole dove è di fatto assente qualsiasi formazione economica. Oggi la democrazia passa anche nella capacità di capire che cosa sta accadendo nei mercati sopra le nostre teste, e poi poter scegliere liberamente, anche i nostri governanti.