Rilancio economico
di Luigino Bruni
pubblicato su Città Nuova n.15/16, 10-25/08/2013
In questa fase in cui l’Italia e buona parte dei Paesi dell’Europa del Sud stanno cercando di trovare vie di uscita possibili alla loro crisi economica e civile, può essere utile ricordare due princìpi-messaggi che sono alla base della scienza economica moderna. E ci provengono proprio da colui che è considerato il capostipite degli economisti moderni, lo scozzese Adam Smith, spesso evocato, erroneamente, come il paladino del capitalismo speculativo.
Quei princìpi li troviamo nella prima frase del suo trattato La ricchezza delle nazioni (1776): «Il lavoro annuale di ogni nazione è il fondo da cui essa trae tutte le cose necessarie e utili per la vita». Il primo messaggio di questa frase riguarda il lavoro: la ricchezza di un Paese è data da quanto lavoro riesce a generare. La misura della vera ricchezza di un Paese è il lavoro, e quando la “ricchezza” non nasce dal lavoro ma da scommesse o speculazione non è buona e nasconde qualche bluff, che prima o poi si rivela e ci chiede il conto, mai soltanto economico. Quella frase eredita un’antica tradizione di pensiero e fa comprendere la gravità della disoccupazione, soprattutto quando raggiunge i livelli innaturali di questi anni.
Il secondo messaggio è nell’aggettivo “annuale”. La ricchezza di una nazione non è data dai patrimoni, dai tesori, dalle terre, dai mari, e dalle risorse che ha in dotazione, ma dalla capacità di un popolo di trasformare, grazie prima di tutto al lavoro della sua gente, quelle ricchezze e risorse in reddito, cioè in flussi annuali. Sono in molti ad evocare le grandi risorse – artistiche, culturali, paesaggistiche … – del nostro Paese, per ripartire. Ma le risorse e i patrimoni da soli non bastano: il problema cruciale è interno al processo di trasformazione dei nostri patrimoni (cioè il dono dei padri: patres-munus) in lavoro e quindi in vera ricchezza per tanti.
I patrimoni generano buon reddito quando un popolo sa creare sinergie tra tutte le sue componenti. Quando ciò non accade, una generazione deteriora e deprezza i suoi patrimoni, non crea ma distrugge lavoro, e così diventa ingrata verso i suoi padri e irresponsabile verso i figli.