di Luigino Bruni
pubblicato su Città Nuova n.5/2013, 10/03/2013
Amore è forse la parola più abusata e logora nella nostra cultura dei consumi, della finanza e dell'edonismo. Amore è stata invece la parola che Benedetto XVI ha messo al centro della sua dottrina sociale. Deus Caritas est, la sua prima enciclica, Caritas in Veritate, l'ultima.
E così quell’amore che la nostra civiltà ha scartato, Papa Benedetto l’ha scelta come testata d'angolo del suo edificio, della casa della Chiesa, del suo papato e della sua conclusione. L’amore della chiesa e di questo Papa si chiama charitas, una parola latina dalla lunga e complessa storia. Era usata nel linguaggio commerciale (ciò che è caro, che vale), e divenne la parola che i primi cristiani latini scelsero per tradurre agape.
Era questa parola greca che il Nuovo testamento aveva quasi inventato per poter dire una dimensione dell’amore che le altre parole greche usate in quel tempo, cioè Eros e philia (amore di amicizia), non riuscivano a rendere nella sua rivoluzionaria novità. L’agape, infatti, a differenza dell'eros, ama anche ciò che non è desiderabile, e ama anche il non amico. È amore di gratuità. Al tempo stesso l’agape non si oppone a eros e philia, ma li chiama alla loro pienezza. E’ questo un altro grande messaggio di Papa Benedetto, contenuto nella sua prima enciclica, alla cui luce va letta anche la Caritas in veritate, che ci dice che il dono non si oppone al mercato, né la gratuità al contratto. Ma occorre evitare il grave e comunissimo errore di confondere i doni con i regali, e la gratuità con il gratis (prezzo zero).
È questo amore che Benedetto XVI ha posto al centro delle sue encicliche, che non sono solo sociali ma prima antropologiche e teologiche. Solo un Papa autenticamente teologo poteva scrivere lettere autenticamente sociali. Ed economiche. Papa Ratzinger non ha solo detto che l'amore-charitas è il principio dell'autentica socialità, ha anche scritto e detto tante volte in molti modi che questo amore (e non un altro) è anche principio economico. Una rivoluzione culturale di enorme portata che si comprenderà solo in futuro.
Da economista, e da economista di comunione, non posso che dire un grande e profondo grazie a Papa Benedetto, che ponendovi a cuore la charitasha dato all'economia una dignità nuova e altissima. E proprio mentre stava esplodendo questa crisi che mostrava dell'economia il suo volto più distante dall'amore, il successore di Pietro ha richiamato l'economia, il lavoro, l'impresa, la banca, alla loro vocazione più alta e più vera, per salvarle. Tutti coloro che ogni giorno vivono lavoro ed economia come amore, e sono tanti, debbono ringraziare questo Papa teologo che ha avuto il coraggio di accostare mercato a amore, contratto a dono, giustizia a gratuità, economia a comunione.
E chiamare economia amore è il modo più bello per dire laicità, quella vera, che, sulla scia di un altro grande Benedetto, dà lo stesso valore etico all’“ora” e al “labora”, un messaggio di grande speranza in questa crisi che si mostra sempre più crisi del lavoro e dei lavoratori. Il passaggio di Benedetto XVI attraverso i territori dell'economia l'ha allora cambiata per sempre. E l'ha cambiata per tutti, anche per tutti quelli che le sue encicliche non l'hanno lette, perché magari l’abbiamo presentata con modi e linguaggi sbagliati. È anche a nome loro che ti voglio dire grazie, Papa Joseph, perché le tue parole hanno reso più degno e bello il nostro mestiere, il quotidiano, la ferialità della vita. E così hai composto un canto d'amore per l'uomo, che è fatto di pane e di sale (salario), e lo è anche quando ama, pensa, prega. Quando prega, e quando lavora.