Rubriche - Oltre il mercato
di Luigino Bruni
pubblicato su pdf Città Nuova (63 KB) n. 23/24 del 10-25/12/2015
Una nota che segna l’inizio di questo terzo millennio è l’allargamento, veloce e deciso, della sfera economica. Da un settore accanto agli altri, l’economia sta via via occupando politica, sanità, scuola e, tra poco, forse anche le chiese. I valori e le virtù dell’economia stanno così diventando i principali, se non gli unici, valori e virtù dell’intera vita sociale. Efficienza, merito, innovazione, la logica costi-benefici, sono ormai le uniche parole “serie” del nostro mondo.
Nel ’900 era stata la politica a offrire il paradigma di vita buona a tutti gli altri ambiti. I valori e le virtù della democrazia erano i fari di civiltà cui guardare per gestire le fabbriche e la società civile. L’economia era essenzialmente il luogo della fatica e dello sfruttamento dei lavoratori, che doveva essere umanizzata grazie alla partecipazione, ai sindacati, ai diritti.
Nel giro di un paio di decenni, l’economia e l’impresa da immagini della lotta di classe sono diventate luoghi dell’eccellenza umana. Chiunque oggi voglia dar vita a buone organizzazioni, partiti, ospedali, scuole, guarda e importa i principi che guidano le grandi imprese. La famiglia, forse, riesce ancora a salvarsi, ma iniziano già ad intravvedersi corsi di gestione familiare affidati alle società di consulenza globali, mentre è ormai da tempo che le università (cattoliche e pontificie) organizzano corsi di management per parroci e per suore, affidati alle multinazionali della consulenza.
Dietro questa emigrazione dei valori economici si nascondono sfide particolarmente delicate e pericolose. Pensiamo all’ideologia degli incentivi. Ci stanno convincendo, senza trovare in noi resistenze, che gli esseri umani sono capaci di dare tutto se adeguatamente pagati e controllati. Se l’ufficio del personale è abbastanza bravo e ha consulenti sufficientemente preparati, può disegnare contratti e incentivi perfetti in grado di ottenere dalle persone tutto ciò che serve all’impresa. Se ben pagati e ben controllati, gli uomini e ormai anche le donne sono perfettamente addomesticabili. Questa idea è antica (ha almeno un secolo), ma finché gli ideali sociali erano vivi e attivi, era stata fortemente combattuta ed era rimasta confinata nel business più duro e puro (l’alta finanza, le grandi multinazionali…).
In questa nostra età di crepuscolo degli dei e degli ideali, l’ideologia dell’incentivo trova invece le porte spalancate e sta riempiendo il nostro vuoto di pensiero. Il trucco che rende questa ideologia neo-manageriale particolarmente simpatica e amica della gente, è il suo presentarsi sotto mentite spoglie di libertà e di positività: l’incentivo è un contratto, che si firma liberamente, si dice. In realtà, se guardiamo bene, sotto questa ideologia c’è una visione di individuo molto pessimista, secondo la quale l’uomo è incapace di bene se non è guidato dall’esterno, dalla carota e dal bastone.
L’invasione della logica economica sta producendo dei grandi cambiamenti culturali, quasi tutti deleteri. Pensiamo all’utero in affitto o al mercato degli organi. Se la logica degli incentivi e la razionalità del mercato diventano i soli valori buoni della vita sociale, perché criticare chi vende (e chi compra) un rene, o chi compra (e chi vende) il proprio grembo per “produrre” un bambino “proprietà” di altri? È il mercato, bellezza. È libertà, consenso, vantaggio reciproco. Peccato che dentro il cavallo di Troia degli incentivi si nasconde un ritorno alla schiavitù. Anche nella Genesi troviamo Agar che genera un figlio (Ismaele) per conto di Sara e Abramo. Agar, però, era una schiava, non dimentichiamolo. L’umanità ha superato l’età delle schiavitù, ed è stata capace, con immenso dolore, di iniziare l’era delle donne e degli uomini liberi. Non barattiamola con il “piatto di lenticchie” degli incentivi. La dignità umana non è in vendita, non tutti i beni sono merci, non esiste un mercato per tutti i beni, restiamo umani finché i bambini nostri e degli altri non avranno un prezzo di mercato. Le felicità promesse da questi “contratti” sono false. Dobbiamo cercare un’altra felicità.