Rubriche - Oltre il mercato
di Luigino Bruni
pubblicato su Città Nuova n.08/2016 di agosto 2016
La nostra civiltà ha raggiunto traguardi straordinari, pur in mezzo alle contraddizioni che ogni epoca storica ha conosciuto e conosce. Grazie a tante donne e uomini di genio, che con la loro intelligenza e creatività hanno spinto avanti la frontiera della tecnica, dell’innovazione, delle tecnologie. Grazie agli artisti, ai poeti, e ai maestri spirituali, che ci hanno insegnato a vivere, ad amare, a sognare.
Ma anche lo sviluppo dell’economia di mercato ha dato il suo contributo. L’idea che il mercato sia un mezzo ed una espressione di civiltà non è comune nel nostro tempo (e neanche in quelli passati). In genere prevale il pensiero opposto, e cioè che il mercato sia essenzialmente uno strumento di sfruttamento dei forti sui deboli, un luogo di oppressioni dei più poveri. In realtà, anche se nei mercati e attraverso le imprese e le banche, tutti i giorni accadono cose pessime, fino a vendere il ‘povero per un paio di sandali’ (profeta Amos), per capire il rapporto tra mercato e civiltà occorre cercare di guardarlo bene, o almeno meglio. Pensiamo ad una qualsiasi giornata nelle nostre città. Mentre sto scrivendo questo articolo con il mio computer, in una scrivania dell’università di Lovanio (Belgio), non penso in genere a quanta gente sta cooperando con me affinché io possa fare il mio lavoro, sebbene sia da solo nel mio studio. In realtà sono dentro una grande cooperazione. Con i custodi dell’edificio, con gli addetti alle pulizie, con chi sta lavorando perché arrivi l’energia elettrica e il collegamento internet grazie al quale potrò spedire tra poco il risultato del mio lavoro alla redazione. Quando poi tra poco uscirò per tornare a casa, la cooperazione si estende a chi fa manutenzione delle strade, ai vigili del traffico, ai ferrovieri. Se poi entro a prendere in caffè in un bar (senza slot-machines), dietro quella tazzina ci sono decine di migliaia di persone che hanno lavorato e lavorano perché quel caffè arrivasse da un paese lontano sul bancone del bar. Moltissime persone stanno, qui ed ora, cooperando con me, consentendomi di lavorare, di scrivere, di esprimere la mia personalità. Certo possiamo anche interpretare i comportamenti di tutti i lavoratori che in vari modi si intrecciano con la mia vita, come azioni motivate soltanto dall’interesse, dalla ricerca di guadagno o di profitti. È anche possibile leggere il nostro mondo come la somma di tanti egoismi. Ma non è meno vero, e per me lo è di più, leggere il mosaico di relazioni che si compone ogni giorno come la più grande cooperazione che la storia umana abbia inventato. Anche questo è il mercato. Soprattutto questo è il mercato. È il frutto di migliaia di anni nei quali gli esseri umani hanno imparato a scambiare prima con persone della stessa comunità, poi con sconosciuti ma della stessa fede religiosa, poi con sconosciuti e basta. Tutto questo convive con enormi ingiustizie e diseguaglianze alle quali il mercato potrebbe solo in parte rimediare. E un po’ lo ha fatto, quando nel Novecento sono nate milioni di imprese che hanno assunto milioni di lavoratori, trasformandoli da ex semi-servi a persone con sempre più diritti e dignità. Grazie anche ad un grande movimento sindacale, che ha consentito che il ‘mercato del lavoro’ fosse un mercato particolare, dove non c’erano soltanto contratti di lavoro ma anche patti di lavoro – che oggi stiamo dimenticando. E grazie ad una presenza forte dello Stato, che ha impedito che il mercato diventasse tutto.
Il mercato resta un fattore civilizzante finché la ‘loggia dei mercanti’ insiste sulla stessa piazza del ‘palazzo dei capitani del popolo’ e della Chiesa di San Francesco, come nella piazza medievale della mia città di origine. Quando, invece, i mercanti occupano l’intera piazza della città, comprano il palazzo della politica, e magari anche la chiesa di fronte per trasformarla in un museo (a pagamento), la città si imbruttisce e i mercanti perdono l’anima e presto anche i profitti. Il mercato è civile, riempie la città di colori e di profumi, quando occupa la piazza un solo giorno alla settimana, e negli altri la lascia, gratuitamente, a tutti.