Il capitalismo in volo

Il capitalismo in volo

Tornando  a casa,  sognando  la comunione  anche per  quella metà  abbondante  del  mondo  che su un aereo non metterà mai piede

di Luigino Bruni

pubblicato su Città Nuova n.17/2014 del 10/09/2014

Capitalismo in volo ridTornando da Parigi da una scuola estiva sull’Economia di Comunione, volando sui cieli d’Europa penso al nostro capitalismo. Forse perché in Francia è appena cambiato il ministro dell’economia, forse perché ho appena salutato cinquanta giovani affascinati da un’economia più fraterna e inclusiva, o perché il cuore va ai troppi aerei sbagliati che volano sulle tante terre martoriate dalle guerre, non posso comunque non pensare alla nostra economia di mercato, alle nostre crisi, ai tanti africani e magrebini che ho visto nelle metropolitane parigine e nelle sue periferie esistenziali, economiche e culturali.  

E per prima cosa rifletto un po’ su che cosa sta accadendo in questo aereo tra me (gli altri passeggeri) e la compagnia area che mi porta a casa. Ho acquistato un ticket, e nel farlo mi sono mosso totalmente dentro la logica del nostro capitalismo. Ho fatto un contratto con una grande compagnia aerea, uno dei principali attori dell’economia globale (che acquista, come le altre grandi compagnie aeree, molti titoli finanziari altamente speculativi [hedge funds] per assicurarsi contro le oscillazioni dei prezzi del petrolio). Ho usato una carta di credito emessa da uno dei principali circuiti finanziari mondiali. Con me, questo contratto lo hanno fatto il top manager che viaggia in business class, la famiglia italiana (genitori e tre ragazzi) che ha trascorso qualche giorno di vacanza a Parigi, e il giovane attivista di una ONG che torna da un congresso dove hanno criticato il nostro sistema economico. La hostess mi sorride e mi tratta con grande gentilezza, senza che ci si conosca, perché il suo contratto lo prevede. Mentre scrivo comodo col mio pc, prodotto da una grande multinazionale.

E da questo aereo il pensiero va poi ad un mio predecessore dell’università di Roma che per recarsi a Parigi duecento anni fa impiegava forse una settimana, doveva attraversare valichi, rischiare di imbattersi in qualche agguato nelle montagne, spendeva un patrimonio, e arrivava fisicamente distrutto. E penso anche che le persone che avevano i mezzi per andare a Parigi o in altre città europee erano molto poche, un numero molto inferiore a quello di oggi.

Se allora ci fermassimo a questo punto del ragionamento non mi sentirei troppo a povertadisagio su questo volo mentre ripenso con un po’ di nostalgia ai giovani di vari paesi del mondo che ho appena lasciato.

In realtà, sotto questo al mio ticket si nasconde però molto di più, un ‘molto’ che facciamo fatica a vedere, anche perché abbiamo smesso di farci domande profonde sul tipo di mondo che abbiamo costruito. Intanto è bene ricordare che sto viaggiando su una macchina che è uno dei principali fattori di inquinamento del nostro pianeta. È vero che tra i programmi che mi offre a bordo c’è anche la possibilità di fare una donazione per piantare alberi che riproducono esattamente quella Co2 che stiamo emettendo, chiedendo però a noi privati cittadini di farci carico di un costo sociale che questa impresa genera e non copre (se non in piccola parte). Ma poi penso a tutti quei cittadini che ho appena incrociato nella metro, che su questi aerei non saliranno mai, o troppo poco. Che ci salgono oggi meno di ieri, perché anche se i ticket costano relativamente meno oggi di dieci anni fa, le diseguaglianze sono aumentate, e oggi il 10% più povero in Europa ha peggiorato le sue condizioni di vita, e continua a peggiorarle. Per non dire dei miliardi di abitanti dell’Africa, dell’Asia, di molte regioni del sud America, che non solo non volano, ma vedono aggravarsi le condizioni dei loro ambienti a causa dei voli del 20% più ricco del pianeta. Eppure anche loro, soprattutto loro, avrebbero bisogno di volare, di conoscere il mondo, avrebbero più bisogno di noi, più di me, di volare e di sognare. Ma – e questo è un aspetto di cui non si parla – se solo il 50% di coloro che oggi sono esclusi e intrappolati nelle periferie esistenziali del mondo iniziasse a volare nei cieli, il pianeta non riuscirebbe a sostenerci, e dovremmo scendere tutti a terra. Il messaggio triste che ci cela sotto questo volo aereo è molto semplice e non dovrebbe lasciarci viaggiare in pace: l’esclusione da questo benessere di una metà di abitanti del pienata è la condizione perché noi possiamo volare. Ecco perché il vero rischio sistemico della nostra epoca è che i tanti costretti a restare a terra un giorno smettano di guardare pacificamente il cielo dove volano solo gli altri.

E così, mentre ormai stiamo atterrando, torno con cuore e con la mente all’Economia di Comunione, a quei giovani pieni di speranze, e mi riconvinco che se esiste un sistema economico-sociale post-capitalistico dove tutti possano sognare e volare, questo nuovo sistema dovrà avere a che fare con la parola comunione. Ma non lo realizzeremo mai se oggi, mentre voliamo e non voliamo, smettiamo di cercarla, di pensarla, di amarla, di crederci.


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