Rubriche - Oltre il Mercato. Più ci inoltriamo nei sentieri dell’insaziabilità, più sentiamo la nostalgia per una vita più sostenibile, vera, solidale.
di Luigino Bruni
pubblicato su pdf Città Nuova n.10/2017 (191 KB) di Ottobre 2017
In un mio recente viaggio in India, ho conosciuto un economista del Sud dell’India che mi ha spiegato una delle leggi fondamentali dell’economia gandhiana.
Secondo Mahatma Gandhi, quando una persona si trova di fronte a due panieri, contenenti il primo 5 unità e il secondo 4 unità della stessa merce, in genere la scelta migliore è quella del secondo paniere. La sua regola generale era: il meno va preferito al più. Poiché, quando è possibile, è più intelligente avere meno cose, svuotarsi invece di riempirsi, utilizzare l’essenziale e non il superfluo.
Perché devo avere 5 cose se me ne bastano 4? Nell’umanesimo gandhiano (è impressionante quanto Gandhi sia ancora il cuore e il padre dell’India: nelle grandi città la strada principale è intitolata a lui), il di più non è segno di abbondanza ma di spreco, e quindi di irrazionalità, di stupidità. La sua prima legge economica, che pur esercita un certo fascino su di noi, è però esattamente l’opposto della legge che abbiamo posto a fondamento del capitalismo occidentale e della sua teoria economica. Il “più è preferito al meno”, il cosiddetto “assioma di non-sazietà”, è, infatti, la prima ipotesi dei libri di economia, perché corrisponde a quanto crediamo essere una semplice e innocua regola di buon senso. Mai sazi, sempre in cerca del di più, insaziabili. L’intero sistema commerciale e pubblicitario si basa esattamente sull’insaziabilità dei consumatori. È meglio prenderne tre e pagarne due. La crescita, il Pil, i mercati, sono il frutto e lo sviluppo di questo semplice assioma.
Ma mentre ascoltavo quell’economista, mi chiedevo: come sarebbe stata la nostra economia, il nostro mondo, il pianeta, il nostro benessere, se invece della regola di non-sazietà avessimo seguito quell’idea gandhiana? Se avessimo scelto la sobrietà invece del consumismo, il ridurre invece dell’aumentare, il diminuire invece del crescere? Avremmo prodotto di meno, avremmo corso meno velocemente, avremmo un pianeta meno inquinato.
Saremmo stati più simili alle piante e alle altre creature sulla terra, che non conoscono la legge del superfluo ma solo quella del necessario.
Se guardiamo bene, però, ci accorgiamo che quella intuizione di Gandhi non è così aliena neanche dalla nostra cultura. Le civiltà e le economie pre-capitalistiche erano più simili all’economia gandhiana che alla nostra. Erano fondate su poche e chiare leggi: accontentarsi dei beni che si avevano, la temperanza (grande virtù cardinale dimenticata), la condivisione del superfluo con chi non aveva il necessario.
Poi, ad un certo punto, nacque in Europa e poi negli Usa un nuovo spirito, che fu chiamato spirito del capitalismo, che iniziò a lodare l’accumulo di beni, l’insaziabilità, la non temperanza nei consumi e nel far quattrini. Questo spirito dell’economia moderna per qualche secolo (XVII-XX) è stato bilanciato da altri spiriti non economici ben presenti nella società (dalla religione alla scuola, alla politica). Così è rimasto per lungo tempo dentro il suo ambito, portando pure buoni frutti – anche perché l’idea del più e dell’abbondanza vista come benedizione era ben presente nella Bibbia. Fino a quando, molto più recentemente, lo spirito dell’economia e del business è uscito dal suo alveo e ha occupato totalmente la politica e la scuola, e ormai sta entrando anche nella religione, divenendo così l’unico spirito della intera vita sociale. E la distanza con Gandhi è diventata incolmabile. Ma è proprio l’enorme distanza tra l’economia gandhiana e la nostra che la rende particolarmente utile e preziosa, perché più ci inoltriamo nei sentieri dell’insaziabilità, più sentiamo la nostalgia per una vita più sostenibile, vera, solidale. Più ci riempiamo di merci, più sentiamo la nostalgia di altri beni; più siamo circondati da sprechi di cibo e di tutto, più sentiamo il grido di chi non ha ancora il necessario e vive, nuovo Lazzaro, cercando nella spazzatura le briciole fatte cadere dalle nostre tavole. Finché sentiamo questa nostalgia e, soprattutto, il dolore per queste grida, possiamo ancora sperare di cambiare. Se invece l’abbondanza e il comodo ottureranno per sempre l’orecchio dell’anima, ci convinceremo che i poveri non ci sono più, solo perché siamo troppo distanti da loro per vederli. E quello sarà il giorno più triste.