di Micol Andreasi
pubblicato su Il Secolo d'Italia il 15/03/2012
In piena recessione economica, mentre dilaga la sfiducia nei confronti degli istituti di credito e più persone sognano un mondo giusto e solidale finalmente liberato dai mercati, dalla moneta e dalle banche, è davvero possibile parlare di virtù del mercato? Luigino Bruni, docente di Economia politica all'Università Bicocca-Milano lo fa nel suo ultimo libro edito da Città Nuova, in libreria da aprile e intitolato appunto Le nuove virtù del mercato. Nell'era dei beni comuni.
Il professor Bruni, autore anche de: La ferita dell'altro. Economia e relazioni umane, L'impresa civile. Una via italiana all'economia di mercato e L ”ethos del mercato, ci riprova e con un'analisi lucida e attenta riafferma la possibilità di uno sviluppo economico che riscopre il valore delle relazioni, che valorizza la qualità dei rapporti umani e che, non senza fatica, riafferma la priorità della dimensione etica.
«Per parlare di virtù del mercato - spiega Bruni - dobbiamo prima liberarci da vecchie e sclerotizzate ideologie secondo cui tutte le attività umane sono virtuose tranne l'economia. Ciò è falso e ci ha impedito per decenni di riaprire una stagione di critica profonda del nostro sistema economico. Io dico che il mercato, in quanto attività umana, è perfettibile e quindi sempre da sottoporre alla critica del pensiero e soprattutto in momenti di crisi e di difficoltà. Non si esce infatti da unempasse della vita se non si ritrova il proprio “daimon” socratico, se non si attinge alla parte migliore di sé, se non si trova o ritrova la propria vocazione profonda».
Niente pessimismi allora?
Dobbiamo tenere presente che l'attuale fase dell`economia di mercato - che potremmo chiamare capitalismo finanziario individualista nasce da un pessimismo antropologico che risale almeno a Lutero, a Calvino, ad Hobbes. È sull'ipotesi che gli esseri umani siano radicalmente opportimisti e auto interessati per pensare al bene comune che poggia la teoria economica e il sistema economico. Ma di una sconfitta antropologica si tratta, a cui non dobbiamo concedere l'ultima parola. Credo che abbiamo il dovere etico di lasciare a chi verrà dopo di noi uno sguardo più positivo sul mondo, sull'uomo, sulla politica e sull'economia.
Il suo invito è a ripartire dalla parte migliore del sistema economico, a puntare sulle virtù nuove del mercato, ma quali sono?
Nel mondo semplice della pre globalizzazione dove i beni d'interesse erano solo quelli privati, la competenza, l'impegno, la dedizione, la competitività erano virtù che se ben coltivate portavano sempre buoni frutti. Se ogni imprenditore pensava ai propri interessi e lo faceva bene, tutto funzionava e cresceva anche il bene oomune. La globalizzazione ha aperto la strada all'era dei beni comuni (energia, ambiente, acqua...). Li ha anteposti a ogni altro interesse. E cosi facendo ha invalidato la metafora della mano invisibile di Adam Smith.
Le vecchie virtù non bastano più?
Non basta più che ciascuno pensi al proprio per accrescere il bene comune. Le vecchie virtù, quindi, non bastano. Bisogna attrezzarsi di nuove, come la cooperazione, 1'antinarcisismo, la prudenza, la fratemità, la mutua assistenza, la civile concorrenza, la speranza, l'umiltà o il sapersi fermare: virtù capaci di far convergere il mutuo vantaggio con l'interesse privato. La crisi che stiamo vivendo ci mette di fronte all'urgenza di un cambio di prospettiva. Dobbiamo cioè imparare a leggere il mondo dentro a una cornice dove l'io coincide, con il noi. Si tratta indubbiamente di un cambiamento difficile e che dal punto di vista pratico richiede lo sforzo del singolo, ma anche della politica, della giustizia, della finanza, per individuare insieme gli strumenti più efficaci nazionali, sia internazionali.
Sta dicendo forse che la società e il mondo è da intendersi come un corpo unico?
Proprio cosi. È una convinzione che ha una radice antica e che la rivoluzione moderna ha negato considerandola illiberale. Nel nome delle libertà individuali, la modernità si è schierata contro tutti i corpi collettivi, ha affermato l'immagine di un mondo fatto di parti indipendenti, slegate, separate. Ma è arrivata la globalizzazione a mostrare come il mondo in realtà non abbia mai smesso di essere un corpo solo. Così se una parte del corpo, anche se piccola, si ammala e non ce ne prendiamo cura, tutto il corpo rischia di indebolirsi e di morire. Lo vediamo oggi con la Grecia. Rappresenta solo un'unghia del corpo Europa, ma rischia di mandare in cancrena tutte le altre parti.
Puntiamo i riflettori sull”Europa...
L'Europa può guardare alla Grecia come a un governo e a un popolo che ha sbagliato e deve pagare. Può lasciare che si arrangi, con tutti i rischi che conosciamo. Oppure può offrire a quella gente una nuova opportunità per ricominciare. Per farlo, però, l'Europa dovrebbe essere un'Europa di popoli legati da un patto, prima che da un contratto di natura prevalentemente bancario o finanziario. Abbiamo ancora un po' di strada da fare in questo senso.
Che cosa manca alla politica perché riesca a dare forma ad azioni capaci di costruire una società nuova?
Mancano le persone giuste. Il problema principale della politica italiana è che molto spesso ha le persone sbagliate nei posti di governo, attratte più per motivazioni di interesse esclusivamente privato che per amore del “bene comune”. Chi studia economia impara presto una legge fondamentale che è quella “de1l'attrazione perversa”. Signifca che un'organizzazione attrae le persone in base ai segnali che emette. Se la nostra politica è il luogo delle garanzie, dei privilegi e del lusso, di certo non attirerà gente sensibile al bene comune. Ma dal basso oggi qualcosa si sta muovendo. Sono fiducioso che si aprirà presto una nuova stagione politica.