Qualcosa non è cambiato

Intervista a Luigino Bruni di Chiara Andreola

pubblicato il 15/09/2009 su www.cittanuova.it

A un anno dal fallimento della Lehman Brothers, evento scatenante della crisi finanziaria, le Luigino_Brunicattive vecchie abitudini delle grandi banche sono tornate. Lo stesso Obama ha rivolto ieri un pesante ammonimento al mondo finanziario. Qualcosa però si è mosso a livello locale. Intervista al prof. Luigino Bruni, economista all'università di Milano Bicocca.

La top manager della Wells Fargo ha festeggiato il primo anniversario del crollo della Lehman Brothers con un suntuoso party a Malibu; gli strumenti finanziari “creativi” sono tornati, così come gli stipendi stellari dei grandi della finanza: davvero non abbiamo imparato niente da quello che è successo?

«È una buona domanda, ma parrebbe proprio di no. Basti pensare che la Stanley Morgan, una banca che era stata salvata con denaro pubblico, ora che è tornata a fare utili ha annunciato un milione di dollari di premio per ogni dirigente. Personalmente, lo trovo offensivo. Il modo di portare avanti la finanza è simile a quello che c’era prima della crisi: la lezione dell’azzardo morale è stata colta a livello politico, ma non c’è stato alcun cambiamento reale, tanto è vero che le stesse agenzie di rating che hanno avuto le loro responsabilità nel crollo continuano a lavorare come prima. Di questo passo, il rischio di un’altra crisi è concreto».

Eppure qualche segnale di cambiamento di mentalità sembra esserci: nel rapporto della commissione Stieglitz-Sen-Fitoussi presentato ieri si sostiene che il Prodotto Interno Lordo non può da solo misurare il benessere di un Paese, ma occorre considerare anche parametri come la situazione delle famiglie e l’uguaglianza; la gente comune fa più attenzione a come spende i propri soldi… Non significa nulla?

«In effetti, almeno nei primi tempi, le cose stavano così, ma ora non più. Anche se è comunque cambiata la percezione del rapporto tra cittadino e banca: abbiamo assistito ad un ritorno al territorio, con la crescita del credito cooperativo e di Banca Etica. Si è fatta sentire la necessità di un rapporto fiduciario, anche se questo significa rivolgersi ad una banca più piccola che offre magari condizioni meno vantaggiose. In Italia, peraltro, abbiamo una lunga tradizione in questo campo: le cooperative le abbiamo inventate noi, hanno messo radici già nel medioevo e hanno oggi una diffusione capillare soprattutto al nord. Il Sud, infatti, ha sofferto di più la crisi».

Certo questo è uno dei grossi fattori di differenza rispetto agli Stati Uniti…

«Molto semplicemente, l’Europa ha mille anni di storia di capitalismo, gli Stati Uniti soltanto duecento. Quello economico è un istinto, come la fame o il sesso, e come tale va controllato con regole precise. Il modello europeo è più robusto perché ha avuto modo di formarsi fin dal medioevo, ed ha retto meglio di fronte al crollo. Si tratta di un modello di mercato diverso basato sul concetto di economia civile, ossia inserita nella città, nel quotidiano. Il modello anglosassone, invece, è più distante dalla gente. Ricordiamoci che la Gran Bretagna è stato il Paese europeo più colpito dal crollo della banche».

L’Ocse vede segni di ripresa per l’Italia, e Obama pochi giorni fa ha affermato che, pur non essendo ancora «fuori dai guai», l’economia americana è «lontana dal baratro»: possiamo essere ottimisti?

«I capi di Stato fanno il loro mestiere, che consiste anche nell’evitare di creare allarmismi: specialmente in economia, il panico si autoavvera. Se loro, quindi, fanno bene ad essere ottimisti, io però non lo sarei altrettanto: ancora non sappiamo con certezza quanto peserà sulla finanza, ad esempio, il mancato pagamento alle banche da parte di tutte quelle imprese che hanno chiuso. Non credo sia davvero possibile dire quanto durerà ancora la recessione».


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