Il professor Luigino Bruni, ordinario di Economia Politica alla Lumsa commenta i dati dell'Istat. Sottolineando che le donne sono portatrici di un capitale relazionale, simbolico e civile che non si può non misurare se si guarda alla capacità di reddito economico e morale.
di Chiara Pelizzoni
pubblicato su Famiglia Cristiana il 24/02/2014
Di fronte alla certificazione dell’Istat che il Pil umano o, più precisamente, la capacità di generare reddito delle donne è tanto scarsa che “un’italiana vale metà di un uomo”, Luigino Bruni professore ordinario di Economia Politica alla Lumsa di Roma non ha dubbi.
«È un problema anche di teorie economiche sbagliate applicate a oggetti di studio sbagliati». Insomma, le teorie economiche sono generate da un pensiero maschile e applicate ad un modello di lavoro maschile.
«Dove il problema – aggiunge Bruni – è a monte, quando le donne non hanno pari opportunità di formazione e di accesso ai titoli superiori di studio, penso ai dottorati, perché magari sono già madri. Dalla minor formazione scaturiscono, poi, incarichi lavorativi di minor prestigio e responsabilità. E da lì facilmente i dati rilevati dall’Istat».
E a valle verrebbe da aggiungere … «Sì, se il capitale umano è indagato con teorie scritte da maschi per maschi. Che cosa producono peculiarmente le donne? Il capitale relazionale, simbolico e civile. Non possiamo, dunque, misurare la capacità di reddito sul mercato e nelle imprese delle donne escludendo i beni “invisibili” che sono fondamentali anche per le imprese stesse. Non sarà un caso se nelle aziende dove le donne fanno parte del Cda queste vanno molto meglio. Ci sono degli elementi economici femminili che non vengono visti e che sono fondamentali anche per le aziende: le donne, infatti, sono portatrici di relazioni simboliche, emozionali, hanno la capacità di gestire relazioni complesse e/o relazioni non strumentali; se poniamo le donne in luoghi apicali otteniamo, infatti, risultati migliori».
«E se poi vogliamo dirla proprio tutta, come si legge nel libro Italia fatta in casa, la donna lavora in media un’ora e mezza in più dell’uomo se calcoliamo anche il lavoro tra le mura domestiche che troppo spesso viene sottovalutato. Un esempio frequente e significativo: il valore di un piatto di pasta mangiato in casa è molto più alto del valore della pasta e del pomodoro presi singolarmente. Per dire che se non ci fosse il lavoro di cura e accudimento dei lavoratori anche il reddito ne risentirebbe».