Si arriva perciò alla situazione Mauro Moretti, amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato che - di fronte alla riduzione del compenso annunciata dal Governo - dichiara di volere andare via. Ma quello di questi manager è un atteggiamento di 'inefficienza', opposto rispetto al mercato. I 'sacerdoti' di questo culto 'capitalistico' si comportano un po' come quei signori che al tempo del feudalesimo detenevano delle posizioni di privilegio che utilizzavano contro i consumatori e i cittadini. Qui non c'entra nulla il mercato, c'entra il 'potere'. Una categoria che a volte dovremmo tirare fuori anche in economia e non solo in politica. Il potere infatti esiste ed è usato a vantaggio di pochi.
Ma il dibattito dello stipendio dei manager esiste da anni. Adriano Olivetti, grande imprenditore italiano, titolare di un'azienda leader mondiale nel suo settore, con profitti immensi, aveva stabilito che il rapporto fra lo stipendio più basso e quello più alto non dovesse superare il rapporto di uno a dieci. L'equità è dunque un valore anche economico perché un sistema che premia troppo e in modo inefficiente e perverso una piccola elite crea incattivimento sociale, malcontento, e manda in crisi il sistema stesso.
Un sistema che non è equo non è nenche efficiente. La distinzione tra equità e efficienza, l'idea che 'il mercato è il mercato' e poi c'è lo Stato che redistribuisce è completamente sbagliata. Perché se un mercato non punta a una forma di equità non è sostenibile. E in un mondo come quello odierno, dove c'è più consapevolezza e trasparenza, si conoscono gli stipendi e quindi c'è una crescente intolleranza verso una sfacciata ineguaglianza delle opportunità e degli stipendi. Il dibattito sullo stipendio dei top-manager può essere davvero l'occasione perciò per mostrare queste ineguaglianze e smontare il mito del mercato che determina questi compensi. Non hanno nulla a che fare con il mercato ma con il potere di uan casta che lo usa a proprio vantaggio.
(Intervista di Fabio Colagrande)
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